Zibaldone: Gobetti, Lilly et alia…
L’eretico ha avuto la soddisfazione di presentare, lo scorso venerdì, un corposissimo volume dedicato al Risorgimento ed oltre, visto in un’ottica prettamente piemontese (non a caso l’autore, Vincenzo Monti, è torinese): Torino@Italia.eu, edito dal Centro studi piemontesi.
Preparandomi a relazionare sul monumentale testo (quasi 1000 pagine!), fra il tantissimo materiale l’occhio ereticale è caduto immantinente sul Capitolo dedicato alla figura di Piero Gobetti, il giovanissimo intellettuale, appunto piemontese, picchiato dai fascisti e morto nel 1926, a Parigi, in conseguenza del pestaggio stesso.
E mi sono chiesto il perché della (quasi) totale damnatio memoriae cui Gobetti è stato sottoposto. Dandomi la più ovvia delle risposte: perché non apparteneva a nessuna delle due grandi Chiese (tre, al tempo del pestaggio) italiane.
Non era fascista, ma neanche comunista; anticlericale di stampo cavouriano (Cavour è il gigante politico assoluto che esce dal suo “Risorgimento senza eroi”, pubblicato postumo), era e si autodefiniva un “rivoluzionario liberale”: quasi un ossimoro, nel panorama cultural-politico della penisola.
Piero Gobetti – come Ernesto Rossi ed i pochissimi altri che hanno combattuto queste battaglie culturali, economiche e politiche all’insegna dell’autentico liberalismo -, sono in re ipsa destinati a restare conosciuti – dunque apprezzati – da pochi, per non dire pochissimi: le due Chiese così hanno sentenziato, per ragioni sin troppo chiare.
Ed è un grandissimo peccato, perché LORO una certa idea d’Italia – pagandone di persona lo scotto, nel suo caso fino alla morte – l’avevano proposta. Di più: la loro proposta è (sarebbe) ancora di assoluta attualità, se solo qualcuno avesse il coraggio di portarla avanti, riadattandola al mutato contesto…
“Lilly”: nei 6 minuti ed 11 secondi, Antonello Venditti nel 1975 riesce a compiere un piccolo miracolo artistico-musicale. Condensa infatti lo Zeitgeist di quel periodo: l’eroina che, improvvisa e sconosciuta, piomba su quella generazione, falciandola senza umana pietà.
L’iterazione continua del nome della ragazza un tempo amata, ed inghiottita dall’autodistruzione, ci fa ripiombare all’interno di quegli anni, già sin troppo caldi per motivi ideologici e politici. Quando il treno si fermava in stazione, e salivano i giovani, con gli occhi perduti, a domandare denaro per farsi, abdicando ad ogni dignità; quando ogni pertugio un minimo riparato spaventava noi bambini, perché, immancabilmente, frequentato da siringhe.
Lilly si è autodistrutta, come tanti altri, troppi altri, di quella generazione; di loro, resta qualche buon film, qualche buon libro, ed una grande canzone…
Un po’ di cinema, per concludere: per dire due cose di un film ancora NON visto (non si fa, ma in questo caso è d’uopo)! L’inserto culturale del Sole 24 ore, oggi, a pagina 42 recensisce (Emanuela Martini) il nuovo “Grand hotel Budapest”.
Film che promette bene assai, in effetti. Vedremo. Titolo della recensione: “Favola sofisticata ed intelligente”; poi si continua in un crescendo di ridondanze positive, che si concludono con il gran finale della Martini:
“Quello che ne esce non è né un pastiche né nostalgia, ma una favola preziosa ed irresistibile per chiunque abbia ancora la voglia di giocare con la sua intelligenza”.
Un capolavoro o quasi, dunque; c’entrerà forse il fatto che, a pagina 28 dello stesso inserto domenicale, la produzione del suddetto film abbia COMPRATO una intiera pagina pubblicitaria per promuovere lo stesso film recensito 14 pagine dopo?
Ps Mercoledì prossimo, all’Archivio di Stato di Siena alle 18, l’eretico si esibirà (in buona compagnia: fra gli altri, il professor Borgogni, grande esperto di Storia militare) nella presentazione del libro di Antonio Sanò dedicato ad una costola dell’esercito napoleonico (“Storia del 113° Reggimento di Fanteria di Linea Francese (1808-1814)”, Aracne). L’eretico cercherà di dare un quadro (ipersintetico, per esigenze di tempo) della Siena napoleonica. La serata si prospetta stimolante assai: non di sole baionette, si dirà…
Pietro Gobetti già da giovanissimo ( venticinque anni) soffriva di un grave scompenso cardiaco e morì a Parigi in seguito alle complicazioni di una bronchite. Queste notizie sono riportate sul dizionario bibliografico Treccani.
Caro Edoardo,
della bronchite di Gobetti non sapevo, ma credo che l’aggressione fascista – a maggior ragione in quanto lui cagionevole di salute – tanto bene non gli abbia fatto, in linea generale…
Ne approfitto per rispondere all’attivissimo Edoardo anche a proposito del suo ultimo commento su Acampa (nel pezzo di venerdì): dice Edoardo che, nonostante le amicizie influenti, alla fine il fascicolo sull’incendio lo tenne comunque il Pm Marini, e non il Procuratore Capo Calabrese come avrebbe voluto l’Acampa. Il solo fatto che abbia PROVATO a fare cambiare direzione al fascicolo, mi pare già basti ed avanzi: un comune mortale non può neanche provare a fare una cosa del genere…
Correggo infine l’orario di inizio della conferenza napoleonica di mercoledì all’Archivio di Stato: non alle 18, bensì alle 17,15.
L’eretico
Vedi Eretico, essendo io un laureato in Medicina (mettiamola così, senza scomodare il raziocinio…) sono rimasto perplesso davanti al racconto di un tizio che viene picchiato in maniera grave, eppure ce la fa a fare le valige e viaggiare per centinaia di chilometri e muore solo dopo, questi chilometri, averli compiuti tutti. Allora sono andato a cercarne la biografia per saperne di più e che ti ho trovato? Che è si morto, ma per una bronchite… E certo che tu di questa bronchite non sapevi, al contrario delle botte assassine, nonché fasciste: quelle bastavano a spiegare la caratura del personaggio e quella dei suoi preoccupatissimi avversari politici. Che bisogno c’è di ragionare oltre?
Quanto a Don Acampa, capisco i suoi tentativi di indirizzare il suo fascicolo in mani “amiche” e non realizzo il perché che tu li sottolinei con tanta indignazione visto che non sono serviti proprio a niente: il processo lo ha celebrato il dott. Marini in tutte le sue fasi.
Caro Edoardo, che dire?
A questo giro (come ad altri, peraltro), non sono minimamente d’accordo con te: né su Gobetti, né su Acampa Giuseppe.
Ma va bene, benissimo lo stesso: in questo blog, siamo aperti e pluralisti. Scusa solo se non sempre ti rispondo, visto il proliferare di tuoi interventi…
L’eretico
Non sei d’accordo con me circa quello scrivo su Gobetti e Acampa? Guarda che quelle notizie non le ho inventate io: la bronchite del primo è scritta sulla Treccani e il processo del secondo lo racconti tu stesso come istruito dal dott. Marini.
Effettivamente bene non gli deve aver fatto, anche perché a Parigi ci andò dopo la seconda scarica gratuita di legnate subita. Mi viene da pensare che avesse accusato non poco i cortesi insegnamenti squadristi.
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Con il pezzetto su Lilly, mi hai fatto davvero tornare vecchie paure, gli angoli più nascosti sempre piene di siringhe, dalla nostra che l’AIDS venne fuori qualche anno dopo, quando più grandini eravamo in grado di gestire un po’ meglio le paure…. Ricordo le scalette alla Sinistra dei Fori Imperiali andando verso il Colosseo il giorno dei funerali di Berlinguer… Io non guardo il film, ho ascoltato lui da giovane e l’ho riletto ora, il destinaccio infame ci ha tolto la possibilità di avere un vero partito progressista in Italia senza il codazzo degli approfittatori. Un uomo stava trasformando un movimento enorme in una forza progressista e non settaria, con un percorso progressivo, senza rinnegare il passato, ma con grandi sbocchi sul futuro. Allora era una speranza, ad oggi un sogno infranto, speriamo che le coscienze si risveglino per poter fare una grande forza laica progressita e sopratutto onesta…
Vaghissimi ricordi di sQuola mi tornarono alla mente, anni fa, quando in visita a Père-Lachaise mi imbattei nella tomba di Piero Gobetti. Marginale ed abbastanza “anonima”, per fortuna, visto il trattamento riservato ad altri monumenti funerari da grafomani (la tomba di Oscar Wilde è un monumento all’inciviltà, buona parte della quale di italica provenienza…) e fans di icone del rock: dalla lapide di Jim Morrison, coperta di bottiglie e sigarette, mi allontanai abbastanza contrariato, davanti a quella di Gobetti provai una forte emozione.
Belle le tue righe, Eretico
Il 113° di Linea “Francese”.
Una costola, come giustamente la definisci Raffaele, che ci interessa da vicino.
Il reggimento, sopratutto agli inizi, era costituito principalmente da Toscani. I “ragazzi” di leva di quegli anni che partivano da Siena,andarono in larga parte nei ranghi del 113°. Una delle tante “storie nella Storia”.
Ma questa è anche un po’ nostra.
Gobetti è stata (meglio dire è) una delle personalità più importanti e misconosciute d’italia insieme a Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi.
Tutti uomini destinati alla marginalità in un paese che ha come motto “Franza e Spagna purchè se magna” e che vuole sempre l’uomo della provvidenza comunque si chiami o si presenti: da destra a sinistra.
L’attualità politica e filosofica di Gobetti è tutta nei suoi scritti e nelle riviste “Energie Nuove” “La rivoluzione Liberale” “Il Baretti”.
Sono stato nell’androne della palazzo di via XX settembre a Torino dove fu picchiato e la portinaia, molto anziana, mi ha detto che la sua famiglia ha conosciuto i Gobetti che avevano un commercio minuto all’angolo della stessa strada. Lì è stato con Ada Prospero la moglie. Posso dire che quel pavimento scuro, forse di porfido, dove lui presumibilmente è caduto sotto i pugni degli assalitori mi è presente come se lo vedessi ora a distanza di anni.
A parte ” l’Uomo della provvidenza” che era in altre faccende affaccendato che non a cercare di capire le teorie di un liberale (?) che scriveva:« Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di seguirli nell’opera loro, almeno per ora. Ma mi par di vedere che a poco a poco si chiarisca e si imposti la più grande battaglia del secolo. Allora il mio posto sarebbe dalla parte che ha più religiosità e spirito di sacrificio »
(Piero Gobetti, lettera ad Ada Prospero, 1920), ecco alcune valutazioni sul Gobetti fatte da suoi contemporanei: Togliatti nei “Parassiti della cultura” lo definiva affetto da idealismo astratto e Gramsci nel “Ordine nuovo” definiva le idee che leggeva nei suoi giornali come “ricette per cucinare la lepre alla cacciatora senza la lepre.”
Talmente affaccendato in altro che: “il 1º giugno (1924 ndr) Mussolini telegrafa al prefetto di Torino Agostino d’Adamo: «Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e che oggi sia in Sicilia. Prego informarmi e vigilare per rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore di governo e fascismo»” (da Wikipedia)
Di certo non aveva il tempo di capirlo, ma quello di dare ordini di pestaggio non gli mancava…
Caro Francesco gli animi non dovevano essere tranquilli se Gobetti scriveva su “la rivoluzione liberale” nel 1922: “L’elogio della ghigliottina: bisogna sperare «che i tiranni siano tiranni, che la reazione sia reazione, che ci sia chi abbia il coraggio di levare la ghigliottina, che si mantengano le posizioni fino in fondo […] Chiediamo le frustate, perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia, perché si possa veder chiaro» e che «noi siamo come la dura scorza di una noce: proteggeremo i nostri ideali dalla sopraffazione con tutte le nostre forze e fin quando possibile”.
Qualche grattacapo gli antifascisti che facevano la spola con la Francia lo davano: nel marzo 1924 avevano proprio là, assassinato Nicola Bonservizi, giornalista del “Popolo d’Italia” e buon amico del Duce. Come giustamente hai riportato, quest’ultimo a proposito del Gobetti scrive al Prefetto, cioè a un uomo delle istituzioni, e non agli squadristi.