La domenica del villaggio: il Mundial, 40 anni dopo
Per rispettare in pieno – da buoni feticisti della data – il rigore filologico, mandiamo in stampa il pezzo sulla vittoria al Mundial spagnolo (40 anni dopo) il lunedì, invece che la domenica: i lettori capiranno (altrimenti, va benone lo stesso).
Nel frattempo, si è aperta una settimana che potrebbe vedere l’uscita del Movimento 5stelle (di quel che ne resta) dal Governo Draghi: vediamo cosa accade in Senato giovedì, poi evidentemente se ne riparlerà (ovviamente, Conte ha detto che lui dirà, ma per ora non ha detto); certo che scomodare espressioni come “l’andare sull’Aventino”, per gente così, dà l’idea dell’appiattimento sul presente, e ci pare francamente indecente rispetto a chi ci è andato in ben altri contesti…
IL CONTESTO STORICO
1982, 11 luglio 40 anni fa: quasi Historia, per don Benedetto Croce; in effetti, la vittoria nel Mundial fu un bel balsamo, per un’Italia che era assai impaurita (terrorismo politico, di ogni colore possibile; criminalità efferata – rapine in banca, sequestri di persona -, piena Guerra fredda et alia), ma che aveva una gran voglia di sprigionare gioia collettiva.
Era, quella, la prima Italia laica della Storia: aspetto fondamentale, e ben poco ricordato in questi giorni. Il castigo divino, non ci fu… Presidente, il partigiano di Stella (Savona) Sandro Pertini, al quarto anno di settennato (allora, i Presidenti della Repubblica restavano in carica sette anni, pensate un po’…): socialista di provata fede, per quanto in buoni rapporti personali con Giovanni Paolo II; ma soprattutto, Primo Ministro – da un anno – era Giovanni Spadolini, dopo Ugo La Malfa il più importante esponente di un Partito – quello repubblicano – che faceva della laicità la sua bandiera, in rigorosa coerenza con il suo passato risorgimentale. Spadolini – un fiorentino che meriterebbe di essere ricordato assai di più, nell’Italietta dei pesci rossi – era uno storico di vaglia (pagine memorande, sul rapporto fra Stato e Chiesa, sul “Tevere più o meno largo”), ed anche giornalista di rango (tra l’altro, Direttore della Nazione).
In finale, giusto 40 anni fa in questi minuti, sconfiggemmo i tedeschi, 37 anni dopo la fine della guerra: attraverso il calcio, si possono avere dei sinceri momenti di riconciliazione fra Nazioni; devono nascere dal basso, però, non essere imposti: quell’11 luglio 1982, fu un esempio eclatante, uno dei più alti in assoluto, di ciò che lo sport può rappresentare in positivo. Se interpretato nel modo giusto: rarissima avis…
UNA STRANA PARTITA: ITALIA-CAMERUN
Chissà in quanti lo ricordano (la memoria selettiva dell’italiano medio è sempre a favore degli eventi favorevoli, eh), ma non solo la futura squadra campione del mondo arrancava assai, nel turno iniziale, ma ci furono voci – e poi un libro ben documentato a dimostrarlo in modo documentale – di una combine fra Italia e Camerun.
Il fatto, per intanto: 23 giugno, ultima partita del girone iniziale; l’Italia di Bearzot deve almeno pareggiare con goal, dopo lo 0-0 con la Polonia (futura semifinalista) e l’1-1 con il Perù di sei giorni prima. Il pareggio fra noi e gli africani rappresenta un vantaggio per tutti: per noi in primis, giacché ci fa accedere al famoso gironcino successivo (risultato minimo della spedizione), e tutto sommato anche per i camerunensi, i quali uscirebbero a testa alta, da imbattuti (ed anche, forse, imbottiti di denaro…). Per contestualizzare, va detto ad onor del vero che anche fra tedeschi ed austriaci pare ci sia stato un “biscottone” vantaggioso per entrambi (nostalgie del nazista Anschluss, di grazia?).
In ogni caso – tornando all’Italia ed al Camerun – arriva l’1-1, e l’Italietta (davvero men che mediocre, fino ad allora) va avanti; Roberto Chiodi ed Oliviero Beha – due giornalisti di inchiesta e polemisti di valore -, però, non si tirano indietro, e con una serie di articoli documentano il coinvolgimento del Presidente della Figc – il campano Sordillo – in una combine. “Nessun coinvolgimento dei giocatori italiani”, racconta lo stesso Beha in un’intervista, facilmente reperibile on line. Detto che Artemio Franchi ricopriva l’incarico di Presidente onorario della Federazione italiana gioco calcio, va detto che la mole documentaria dei due giornalisti non si può ignorare. Ne venne fuori financo un libro, che venne in pratica condannato alla clandestinità.
Eravamo (siamo) in Italia, non certo in un Paese anglosassone, in cui la stampa gioca un effettivo ruolo di “cane da guardia”: Oliviero Beha (il quale ci ha lasciato troppo presto), di fatto, perderà il posto di commentatore, nella scalfariana Repubblica. Lui stesso ricorderà anni dopo che, avendo parlato e scritto anche dell’interessamento della camorra nella gestione della succitata combine, retrospettivamente illo tempore non gli andò poi così male…
LA CAVALCATA TRIONFALE (E SCHUMACHER)
Gli “eroi” di 40 anni or sono – lo diciamo per chi non c’era – sono divenuti tali perché hanno inverato il detto ad astra per aspera: partiti male, per non dire malissimo, finiti poi in un gironcino infernale (con Argentina e Brasile), dal quale nessuno pensava potesse uscire indenne la fino ad allora italietta bearzottiana; dipoi, la semifinale con la Polonia di Lato e di Boniek (il “bello di notte”, per Agnelli: ma si giocava con la luce, in quel caso), giustamente non sottovalutata dagli azzurri; infine, la finalissima al Bernabeu, contro la Germania di Breitner (che segnò il goal della bandiera) e soprattutto – per lo scrivente, che lo ammirava in modo sacrale – del suo numero uno: Harald Toni Schumacher.
Pensate, per un 13enne che faceva il portierino, che Mondiale fu: Pfaff (Belgio), Arconada (Spagna), Dino Zoff (la parata sul colpo di testa di Socrates, un capolavoro assoluto, ma non impeccabile sul goal di Falcao), e per l’appunto il “calzolaio” del Colonia e della Nazionale germanica (dell’Ovest, va sempre ricordato): portiere straordinario, con classe da vendere e cattiveria agonistica giusta (il francese Battiston, per dire: nel 1986, con l’argentino Burruchaga che gli si parava innanzi, Schumacher fu più magnanime, non azzoppandolo in prossimità della porta: era forse un po’ invecchiato?). Il portierone tedesco fu autore, qualche anno dopo, di un libro denuncia sul mondo del calcio, che fece a dir poco scalpore. Era uno che sosteneva che, prima delle partite, si dovesse fare sesso, ma preferibilmente con le prostitute, per non avere complicanze sentimentali: l’avesse detto oggi, sarebbe stato subissato di critiche dai social, non essendo proprio un sacerdote del politicamente corretto.
Mi rendo conto: invece di parlare degli italiani, del grande “vecio” Enzo Bearzot (presente al Palio del 2 luglio 1987 da semplice turista: lo salutai abbracciandolo, e fasciandolo della bandiera della Selvina), ho parlato e sto parlando di altri; ma quell’Italia è stata già cantata da Gianni Brera, da Mario Arpino, dal giovane Gianni Mura, da Mario Soldati: le loro parole, bastano e avanzano per ricordare quelli che fecero quell’impresa…
Ps Domani 12 luglio, evento assai stimolante in Fortezza (ore 18, bastione San Domenico): oltre allo scrivente, a parlare dell’impronta che un certo Napoleone Bonaparte ha lasciato in terra di Siena, saranno Laura Vigni ed Antonio Sanò, grande esperto della napoleonica arte militare; giovedì, poi, appuntamento con il libro di Matteo Betti: un giovane senese – più vincente che mai, in queste ore -, il quale ha saputo coniugare sport e disabilità. Una occasione per conoscerlo meglio (a partire dallo scrivente): tutti in Fortezza, dunque…
Grazie per aver ricordato Oliviero Bhea e Gianni Mura (una delle persone più colte e dolce, che ho avuto la fortuna di conoscere).
Per amor di precisione nella partita con la Polonia Boniek non poté essere bello nè di giorno nè di notte in quanto per nostra fortuna squalificato.
Caro Holden,
non lo ricordavo affatto, ergo grazie della precisazione.
L’eretico
Per la nostra generazione quei momenti furono realmente magici ( io ero 12enne, non-giocatore causa asma…) e quella squadra ci appariva davvero come un manipolo di eroi.
Oggi pero’, a distanza di 40 anni tocca ridimensionarli parecchio, perche’ guardando le cose in prospettiva i nostri “eroi” hanno azzeccato quattro partite in sei anni, quattro partite fenomenali in un mare di mediocrita’.
E la cosa peggiore fu’ tutta la retorica ( la “narrazione” come si dice oggi) che venne dopo, sugli italiani che danno il meglio quando sono con le spalle al muro, protetti dal loro stellone nazionale – come se metodo e organizzazione fossero inutili – retorica che purtrtoppo, al di fuori dello sport, ha contribuito a portare il nostro paese nelle pessime condizioni in cui si trova.
Caro Marco,
trovo stimolante il tuo commento ex post: e l’altra faccia della retorica imperante, fu per l’appunto la clamorosa censura al lavoro di inchiesta giornalistica di Chiodi e Beha. Da questo punto di vista, oggi con Internet non sarebbe possibile (anche se verrebbe fuori qualcuno, a dire e scrivere che il Mondiale non è mai stato giocato, ovvero che è stato giocato per favorire il grande reset…).
Certo, va anche detto che – oltre al fattore nostalgia, umanamente nobile, a maggior ragione in un tempo così penosamente appiattito sul presente – figure come quelle di coloro che fecero l’impresa (non saprei neanche da chi cominciare) a me risultano parecchio più simpatetiche degli ipertatuati, iperconnessi, iperpagati (invidia sociale, sia chiaro) attuali. Ma sarà che nel 1982, come anni, si era a quota 13, sic…
L’eretico
Hai dimenticato iper palestrati….rivedendo ora le immagini del tempo di quando i nostri eroi si tolsero le maglie per festeggiare, questi ultimi rispetto agli attuali mostrano dei fisici che sembrano secchi stringiti.
Del resto, chi ha giocato a calcio a quei tempi si ricorderà come, negli allenamenti, la parte superiore del corpo non fosse curata minimamente.
Specchio dei tempi che furono.
Fausto
Caro Fausto, proprio così: come si direbbe oggi, c’era un decoupling clamoroso fra la parte superiore e quella inferiore del corpo (elemento questo peraltro perdurante in molti podisti, ma il discorso ci porterebbe lontano assai…).
L’eretico
“Azzeccare quattro partite”. Imperdonabile e giustificabile solo dall’asma che ha impedito al buon Marco di giocare a calcio. Battere in sequenza Argentina, Brasile e Germania e farlo sul campo, senza scorciatoie tatticiste a caccia dei calci di rigore, è un’impresa unica. Della retorica non me ne può fregare di meno, ma la sequenza di vittorie è stata pura esaltazione e il paese non ha enfatizzato un bel niente, ha solo goduto e gioito per un vedetto incontestabile del campo.
Ancora niente codini, codoni, tatuaggi, muscoloni, fuoriserie, puponi, pupone, villini, villoni, veline e velone …
Gente semplice, schietta e di poche parole, ma capace di grandi imprese.
Lo stile italiano dell’epoca.
Parole sante, Holden.
Abbi pazienza Holden, io non ho detto che la vittoria ai mondiali non fosse meritata, ho solo detto che PRIMA e DOPO quella squadra e’ stata decisamente mediocre. Vogliamo ricordare il quarto posto (su 8 squadre) agli europei di Roma? Vogliamo ricordare come arrivò’ ai mondiali dell’82 (seconda dopo la Jugoslavia) ? L’Eretico ha gia ricordato il mediocre primo turno della fase finale ( passato grazie alla differenza reti contro il Camerun) io vorrei invece ricordare che dopo quelle quattro-partite-quattro quella squadra non si qualifico’ per gli europei dell’84, arrivando penultima nel girone (prima di Cipro se ricordo bene). Ammessa di diritto ai mondiali dell’86, dopo un’incolore primo turno in cui arrivò seconda, questa squadra fu mandata a casa con due pappine dalla Francia, che non si impegno’ nemmeno tanto.
E prima di chiudere vorrei ricordare che alcuni di quei giocatori (Paolo Rossi in primis) erano stati squalificati per una storia di scommesse clandestine nell’80. Anche se non avevano codini e tatuaggi non mi pare che fossero quindi eticamente superiori ai giocatori di oggi.
Vabbè, hai tirato fuori tutto il repertorio del revisionismo applicato al calcio. Io potrei dirti che quella nazionale arrivò a sfiorare la vittoria ai mondiali in Argentina, giocando un gran calcio e non qualificandosi alla finale solo per una giornata no di Zoff e che agli europei dell’80 non andò in finale dopo una partita stile fort aphace (che io vidi a dieci anni all’olimpico) con un Belgio che letteralmente non giocò la partita. Tra qualificazioni mondiali del ‘78 e crepuscolo dell’86 in Messico, quel gruppo diede una dimostrazione di solidità calcistica che da allora non abbiamo più visto e che ci permetteva di giocare ogni partita senza alcun timore reverenziale o complesso d’inferiorità. In quella squadra c’era una manciata di fuoriclasse (tra loro non Paolo Rossi a mio parere), contornati da un gruppo di una quindicina di calciatori di una solidità assoluta, dimostrata da carriere lunghe e ricche di trofei nazionali ed internazionali. Poi se dobbiamo per forza smitizzare tutto, facciamolo pure, ma in questo caso è davvero andare a cercare il pelo nell’uovo…
fra le tante date da ricordare ti sei dimenticato quello di Gina nata in data odierna di tanti tanti anni fa.
Il Cacaccia