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La domenica del villaggio: Berlinguer, Pienza

Eccoci al consueto appuntamento cultural-domenicale del blog; quest’oggi, dovendoci dilungare di più sui due argomenti principali, il terzo salterà: della scomparsa di Ciriaco De Mita, o di altro ancora, si scriverà, forse, in futuro. Per oggi, scriviamo di Enrico Berlinguer (a 100 anni dalla nascita), e di Pienza, in particolare del Palazzo Piccolomini.

BERLINGUER, 100 ANNI DOPO

L’estrema sintesi, potrebbe essere questa: c’è chi lo ha amato e continua a farlo, “perché lui sì che era un comunista autentico, vero”; e c’è chi lo ha apprezzato e continua ad apprezzarlo, vedendo in lui un esponente certo comunista, che però ha saputo porre degli strappi seri.

Poi, c’è chi lo detesta a priori, in quanto comunque, per l’appunto, Berlinguer comunista fu senz’altro; c’è infine chi è capace di farne un santino, inzuccherando nella consustanziale melassa il tutto: primus inter pares Veltroni, e non ci potevano essere dubbi a tal proposito.

Nato a Sassari un secolo or sono (morto a Padova nel 1984), deputato dal 1968, soprattutto – dal 1972 usque ad mortem – Segretario generale del Partito comunista italiano: questa, in estrema sintesi, la scheda biografica di Enrico Berlinguer.

A distanza di un secolo dalla nascita, e a quasi 40 dalla morte, che giudizio dare della sua attività politica? Di certo, per iniziare, un elemento va sottolineato: la drammatica morte, con un ictus in corso che non lo fermò fino a quando gli fu possibile continuare a parlare, lo ha umanizzato e reso simpatetico anche a tanti che non lo avevano mai apprezzato (il voto delle Europee 1984 lo documenta, fuor di ogni dubbio). Morire giovani, ovvero in modo drammatico, aiuta ad entrare nei cuori altrui.

A livello politico, luci ed ombre; in politica estera, fu coraggioso e lucido nell’essere il primo leader comunista a favore della Nato (1976), con un gesto che fece epoca; al contempo, il tentativo dell’Eurocomunismo fu tanto generoso, quanto del tutto velleitario (non solo per colpa sua, chiaramente). La distanza dall’Urss brezneviana ci fu, ma sempre con margini di ambiguità: non poteva essere differentemente, peraltro, essendo leader di un Partito che si dichiarava comunista.

Fu l’uomo, in politica economica, dell’austerity (allora, si diceva soprattutto austerità): aveva la statura morale per predicarla agli altri, giacché la applicava a partire da se stesso; che essa fosse anche un “grimaldello anti capitalista” – come scritto mercoledì da Marcello Veneziani (La Verità, pag. 19) -, non si può certo escludere, visto che Berlinguer parlava del “declino irrimediabile della funzione dirigente della borghesia” (a proposito di ambiguità berlingueriane).

Teorizzò, con Aldo Moro, il famoso “compromesso storico” (sul modello di quello che Panebianco ha teorizzato una settimana fa sul Corriere della sera, fra Pd e Fratelli d’Italia?), che lo espose a frizioni con Breznev e a malumori enormi all’interno di un Partito in cui – a fronte dell’ala riformista – c’era ancora una cospicua presenza togliattiana (cioé staliniana, diciamocela tutta), per non dire bordighiana.

Secondo Macaluso, nel 1973, in Bulgaria il Kgb lo voleva uccidere: un camion, attraversando all’improvviso la strada, determinò la morte del suo autista ed il ferimento, solo leggero, del Segretario comunista italiano: la vicenda, però, venne fuori solo nel 1991, in un contesto di forte polemica sui rubli donati al Pci.

Di sicuro, Enrico Berlinguer non fu al passo con i tempi, si fece scavalcare da tendenze ormai chiare della società italiana: lo dimostrò sulla scala mobile, in modo pieno; lo manifestò sui diritti civili, accodandosi solo last minute ai radicali per il divorzio e per l’aborto (sua immagine di donna – nonostante i tentativi odierni di negarlo – era Maria Goretti!).

Riconosciamogli, però, una cosa, non certo di poco conto: la Politica da lui incarnata era passione – lo dimostrò anche in articulo mortis -, era coerenza morale fra il predicato e l’azione concreta, era senso della dignità; era infine, capacità di andare contro il vento del favor popolare, se necessario (vedasi il no alla trattativa sul Caso Moro): Enrico Berlinguer era un hombre vertical, e di questo – di fronte all’avvilente presente dell’antropologia politica – non possiamo, e non dobbiamo, dimenticarci…

 

LA GIRATA FUORI PORTA: PIENZA, PALAZZO PICCOLOMINI

In tutta franchezza, non è davvero facile scrivere qualcosa di inedito, in riferimento a Pienza: il rischio di cadere nel già sentito e letto, è infatti veramente altissimo; si deve forse scrivere che, appena entrati nel borgo – il fu Corsignano -, l’odore dell’autoctono pecorino penetra le narici? Bisogna forse precisare che questa è la città-modello dell’Umanesimo? Beh, facciamolo scrivere a qualche influencer di rango, noi diamolo per scontato: a ognuno il suo…

Tra l’altro, oggi non scriverò delle cose di cui ho parlato – insieme all’augusto padre – giusto domenica scorsa, vale a dire del rapporto fra Pio II e la grande Crociata del 1464, la quale poi non ci fu per la morte, in Ancona, di Enea Silvio Piccolomini (argomento stimolantissimo, credete allo scrivente e segnate la data: il 23 giugno, infatti, si replica in Fortezza, per il pubblico senese); mi limiterò a qualche accenno sullo straordinario luogo che ha accolto i relatori – il cortile interno del Palazzo Piccolomini -, e sul meraviglioso giardino (hortus conclusus) che si presenta agli occhi estasiati di chi esca, dal succitato cortile.

Il Palazzo, dunque, il quale si trova giusto a fianco del Duomo: le mura, all’interno delle quali Enea Silvio Piccolomini venne al mondo; fu fatto rifare dal Rossellino (da chi, altrimenti?), una volta divenuto Pontefice, nel 1458 , Enea Silvio (il quale non voleva neanche diventare uomo di Chiesa tout court!), ovviamente seguendo i dettami prerinascimentali del Papa pientino. Oggi, dopo che nel 1962 l’ultimo discendente (Silvio Piccolomini della Triana) è passato a miglior vita, l’immobile appartiene alle Pie disposizioni.

Se il cortile è bello – nel senso pientino del termine -, ciò che lascia a bocca aperta è per l’appunto il giardino; e neanche tanto in sé – pur ovviamente curatissimo -, ma per l’affaccio di cui gode: la Val d’Orcia, l’Amiata, a maggior ragione adesso, in cui “primavera d’intorno brilla nell’aria, e per li campi esulta, sì che a mirarla intenerisce il core”, come scrivere il Giacomo marchigiano. Prendendo spunto da luoghi belli, sì, ma non così meravigliosi.

E pensare che questo sublime paesaggio – meta di turismo interno ed estero -, deve la sua attuale forma alla decisiva bonifica approntata durante il ventennio fascista, poi certo confermata nei decenni a venire, da una consolidata tradizione di buon governo autoctono. Una foto del bel volume – “Pienza e il disegno dell’utopia”, a cura di Cecchini, Gaudini e Mammana – lo dimostra (dall’Archivio fotografico del Consorzio di bonifica della Val d’Orcia): il Sindaco, Manolo Garosi, e il suo Vice – nonché Assessore alla Cultura – Giampietro Colombini, me ne fanno graditissimo omaggio, giacché è un testo dirimente, per la cura con cui descrive i passaggi fondanti che ci hanno fatto arrivare a tutto ciò che ci delizia (beh, siccome tutti i Salmi finiscono in gloria, diciamo che anche gli inenarrabili salumi del rinfresco – consumato in questo scenario – giocano un loro ruolo: ma il suino, non c’è anche nel lorenzettiano Buon Governo, di grazia?).

Per concludere: non abituiamoci, non ci lasciamo mai assuefare dalla Bellezza; la quale – come ormai speriamo si sia capito – non salva certo in alcun modo il mondo, purtroppo; ma ci lascia – questo davvero sì – il sacro dovere di essere noi, a salvare Lei…

7 Commenti su La domenica del villaggio: Berlinguer, Pienza

  1. UN AMMIRATORE DA TEMPI NON SOSPETTI scrive:

    Il giudizio su Enrico Berlinguer mi pare che renda la complessità della sua biografia. Berlinguer fu moralista con gli altri, pose più che giustamente la questione morale, ma certo che con la questione dei rubli moscoviti dati per decenni al Pci, si fa male poi a fare la morale (anche se giustissima) agli altri…

  2. Paolo Panzieri scrive:

    Berlinguer l’uomo che riuscì a portare il PCI in mezzo al guado, ma che poi non fu mai in grado di superarlo, probabilmente anche perché la gran parte del suo popolo non ne aveva proprio alcuna voglia di passare davvero sulla sponda del mondo libero.
    Di qui la sua proverbiale ambiguità ed il compromesso storico con Aldo Moro, il cui ambiguo bizantinismo era – direi quasi – speculare e contrario.
    Un esperimento, allora quasi contro natura (la chiesa col soviet), che poi si è definitivamente evoluto (involuto?) nell’ulivo prima e nel PD poi.
    Il rimpianto, quindi, resta proprio per quel guado mai superato, che poteva donare finalmente al paese una forza moderna, laica e progressista, laburista e social democratica di stampo europeo, in grado di sbloccare la democrazia italiana con l’alternanza necessaria quale prerequisito di ogni credibile dialettica democratica.
    Invece, si è proseguito pervicacemente sulla strada fangosa del consociativismo pigliatutto, dei governi tecnici (??) e di unità (??) nazionale, fino ad una democrazia ormai quasi del tutto sospesa.
    Tanto che ormai la maggior parte dei cittadini pensa – anche a ragione – che votare sia inutile.
    Peccato.

  3. Chicchero scrive:

    Off topic

    La mi sorella ci teneva a portare la citta in piazza per la prima volta ma a questo punto si chiede se vista l’ordinanza comunale sarà previsto un kindergarten a palazzo. Lei comunque è buonina e non dà mai noia. Se la Clio o il Corsi non sono occupati con gli ospiti “romani” gliela lascia volentieri.

  4. MARIO ASCHERI scrive:

    Nessun regalo a me! Avranno pensato che l’avessi…pomeriggio splendido, in quella cornice, ma non hanno registrato niente! Incredibile! Non che si siano dette cose favolose ma ormai è obbligatorio! Pie Disposizioni si sono aperte speriamo stabilmente…Al 23 in fortezza quindi, altra performance: non ho idea di che strada prendere stavolta. Arriverà l’orario, vero? Il 10 nella sala delle lupe si presentano i libri mio e di Toti-Turrini sul ceto dirigente nel Rinascimento. Ne parla la direttrice dell’AS e un collega di Perugia: Ferdinando Treggiari.
    Enrico Berlinguer: ho caricato in academia.edu e in FB un pezzo del 1990 su Giovanni morto nel 2004: lo continuò nella sua limpida polemica e infatti era rimasto isolato. La morte precoce ad Enrico ha evitato di assistere alla deriva successiva.

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