La domenica del villaggio: Ginsborg, Dante, Isola d’Arbia
Eccoci al consueto appuntamento cultural-domenicale del blog; quest’oggi si inizia con lo scrivere alcune considerazioni sulla scomparsa dello storico Paul Ginsborg; poi, un piccolo approfondimento su Dante nell’Inghilterra vittoriana, infine – per la nuova rubrichetta, inaugurata la settimana scorsa – dopo avere detto di Cetona, oggi si dicono due cosette su Isola d’Arbia, in particolare sulla sua pista pedonale…
PAUL GINSBORG: STORICO E MILITANTE
In settimana, ci ha lasciato Paul Ginsborg: nato a Londra nel 1945, ma ormai anglo-italiano (rectius: anglo-fiorentino) da decenni; era l’ultimo fra gli storici inglesi, ancora attivi, che hanno fatto dell’Italia contemporanea il campo privilegiato dei loro studi: dopo Mack Smith (morto nel 2017, 97enne!), o il Lyttelton (lui, ancora vivente, classe 1937).
Venuto in Italia per studiare il Risorgimento – in particolare la vita e l’opera di Daniele Manin (provate a chiedere in giro chi sia stato, fra gli adulti: poi diteci in quanti hanno saputo contestualizzarlo, sic), Ginsborg si era progressivamente allontanato dall’ indubbio schematismo marxista, e gramscista, dei primi studi, con i cui filtri aveva interpretato il radicalismo del patriota veneziano. Poi si era occupato soprattutto di Storia sociale, capendo che per gli italiani la autentica Patria coincide spesso con la propria famiglia; aveva collaborato con Banti e con molti altri, continuando a fare ricerca ed insegnamento accademico.
Ad un certo punto, una ventina di anni or sono, fu con il collega fiorentino – lui, geografo – Francesco Pardi (detto “Pancho”), uno degli animatori dei cosiddetti “Girotondi” (c’erano anche Nanni Moretti, Roberto Vecchioni ed altri): esperimento sicuramente narcisistico e velleitario (eppur capace di riempire Piazza San Giovanni, in una occasione), vista la breve durata; senza dubbio capace, questo esperimento, di fare comprendere ad un intellettuale per bene, il quale non si capacitava di come e quanto fosse basso il quoziente etico della italica classe politica, che darsi da fare per cambiare le cose, in Italia, non paga quasi mai; di più: che quel “quasi mai”, si può eliminare tranquillamente, se si cerca di cambiare l’Italia in modo disinteressato, come aveva provato a fare Paul Ginsborg…
DANTE, L’INGLESE
I lettori di antica data di questo blog, ben sanno che non siamo certo dei dantisti da anniversario: ce ne siamo occupati molto prima del 2021, e continuiamo ad occuparcene, non appena ce ne sia concreto motivo, anche nel post 2021, come è sacrosanto che sia.
L’appiglio odierno è un contributo di Pietro Boitani (Domenicale del Sole 24 ore, 8 maggio, pag.5), in cui si dà conto dell’uscita di un saggio – per ora non tradotto in Italiano – concernente la ricezione dell’Alighieri nell’Inghilterra vittoriana, vale a dire in quel lunghissimo periodo dell’Ottocento in cui Queen Victoria fu tale; ebbene, la ricercatrice Federica Coluzzi, per la Manchester University, ha documentato come, proprio all’interno della Victorian age, ci fosse un autentico, sorprendente, culto per Dante.
Già ben noto a Chaucher nella seconda metà del XIV secolo, è nell’Ottocento che esplode – all’interno di quella che era allora di gran lunga la primissima potenza mondiale, bene ricordarlo – la “Dantemania”; con critici come Matthew Arnold (che considera il fiorentino al pari di Omero, Milton e Shakespeare); con figure come le sorelle Rossetti, Maria Francesca e Christina (sorelle di Dante Gabriel, il preraffaelita per eccellenza); ed anche – udite udite! – per merito del Gladstone: 4 volte Prime Minister, fra il 1866 ed il 1894, l’uomo politico inglese fu un amante sfegatato dell’Alighieri. Lo leggeva, lo traduceva, ne faceva oggetto di appassionate, e assai frequentate, conferenze.
Alla Regina Vittoria fu regalata una copia dell’Inferno, visti i tempi: ma neanche Federica Coluzzi, a quanto pare, ci sa dire se Queen Victoria l’ abbia letto o meno…
LA GIRATA FUORI PORTA: ISOLA D’ARBIA
Questa settimana è di Isola d’Arbia che voglio scrivere; in particolare, di quella pista – ciclabile e pedonale – che, costeggiando la Cassia, porta dal fu campo di calcio (ormai abbandonato, da anni, alle erbacce) fino all’estremità meridionale del Comune di Siena, vale a dire all’ingresso di Ponte a Tressa (l’Arbia, la Tressa, certo non l’Arno: a modo loro, però i fiumi, intorno alla città del Palio, ci sarebbero anche…).
Percorrere questa pista provoca sensazioni contrastanti: per intanto, perché è un qualcosa che finisce nel modo più drastico possibile, senza sfumature e smussature di sorta. Finisce all’ingresso di Ponte a Tressa (Comune di Monteroni), punto e basta.
Ma soprattutto, una sensazione di vago straniamento la offre a cagione di quell’autentico reperto di archeologia industriale che è l’ex Idit – conosciuta come “la torre dei pomodori” – che documenta il fallimento industriale della zona: creata a fine dei Cinquanta, è ufficialmente dismessa dal 1978; il passarci accanto dalla pista – pedalando, correndo, camminando – ne mostra il ben noto stato di abbandono: vetri rotti, struttura in totale degrado, manco fosse stata bombardata dall’esercito putiniano. Ci si avvicina a quella che si immagina essere stata la casa del custode – con le finestre ben sbarrate -, e la situazione resta quella. Si guarda dall’altra parte della Cassia, e fanno orrenda mostra di sé dei piloni di cemento armato di una strada mai fatta.
Certo, pensare che siamo a poche decine di metri da un tratto della Francigena, riflettendo anche sul fatto che, nel cuore dell’ormai popoloso (più di mille abitanti) quartiere, c’è una chiesetta romanica (Sant’Ilario, lungo la Cassia: XI secolo!), pone la domanda essenziale: che fare di questa torre, alta 58 metri, la quale avrebbe dovuto produrre pomodori liofilizzati?
In attesa di una risposta – che, in tutta franchezza, non abbiamo -, suggeriamo di fare una girata lungo la pista – camminando, correndo, pedalando -, perché comunque ne vale la pena: trattasi di un luogo a suo modo unico, nel panorama dello skyline del Senese. Originale quanto, per l’appunto, un po’ straniante: da guardare in modo non motorizzato, in ogni caso…
Ps A proposito di persone che hanno provato a proporre una idea di legalità in Italia, e ne hanno pagato lo scotto, inizio a segnalare che, in Biblioteca comunale, il 23 alle 17,30 – con la giornalista Giulia Maestrini – si rievocherà la figura di un certo Giovanni Falcone. Sarebbe bello che ci fossero tanti che, quel 23 maggio 1992, non erano ancora nati…
Abito all’Isola dal 2004.
Lo strazio dei ponti in cemento si deve all’incompletezza dei controlli da parte di chi di dovere (uno dei tanti capolavori (legge) voluti da Prodi).
Hanno preso un po’di soldi, fallita la ditta, non hanno pagato fornitori, banche, contributi, e si sono dileguati lasciando nelle peste il titolare della ditta (prestanome) anziano nullatenente che penso sia morto ormai da tempo.
La torre credo sia di proprietà del Demanio e viene usata come punto di riferimento per i piloti di aerei che partendo da Grosseto devono arrivare a girare all’Isola (credo si chiami volo cieco) senza uso di strumentazione di bordo, puntare verso Pisa, girare a Marina di Pisa intorno ad una piattaforma a pochi chilometri dalla riva e tornare a Grosseto.
E come dicono a Livorno “be’ mi’ vaini”
P.S. Davanti a la chiesina romanica c’è una lapide – di cui Gabriele ha una foto – che segnala il limite del Comune di Siena – da poco liberatosi da “Le Masse”.
Dopo pochi anni cominciarono a costruire civili abitazioni e la civica amministrazione vide bene di spostare il confine con Monteroni alla chiesina a pochi metri del ponte sulla Tressa.
P.S. a proposito di “be’ mi’ vaini”: avrai notato che se vuoi percorrere la pista ciclabile devi scendere dalla bici ad ogni passo carrabile, e risalirvi dopo un paio di metri e così fino alla fine della pista.
E pensare che il Sindaco di allora ha avuto il coraggio di ripresentarsi alle elezioni riportando, proprio all’Isola d’Arbia, (grazie anche a me) una sonora stroncatura.
L’IDIT è un vero e proprio monumento, il primo e più iconico (perché più brutto), al fallimento delle politiche industriali senesi.
Dalle minestrine liofilizzate siamo passati senza soluzione di continuità ai televisori, alle parabole quadrate, al laboratorio scientifico d’avangaurdia.
Tutte cattedrali nel deserto, tutta roba (a parte forse i televisori) che non ha mai funzionato, ma di certo ha arricchito chi all’epoca veniva a predere i soldi dei finaziamenti che la Banca (e poi la Fondazione) potevano erogare.
Le parabole quadrate, si dice tanto care ad un ex Sindaco per ragioni puramente estetiche (quelle tonde sono così brutte …), credo che alla fine siano state mestamente smaltite dal curatore dell’inevitabile fallimento, perché nessuno le ha volute, neanche come soprammobile.
Per l’IDIT la cosa, invece, pare sia stata più divertente.
Persa la corsa con la Knor, che aveva un impianto realmente funzionante, la società, come del resto di regola, in breve fallì e le minestrine prodotte rimasero tutte nella disponibilità del curatore.
Orbene, secondo quello che mi fu raccontato dal collega che aveva assistito il creditore principale, costui riuscì a venderle in blocco all’esercito dell’allora Repubblica Federale Tedesca.
Orbene un esercito intero fu messo fuori combattimento da un attacco di dissenteria devastante.
Ecco allora l’unica gloria dell’IDIT: aver sconfitto da sola l’intero esercito tedesco.
Quindi, forse, vista la situazione attuale, meriterebbe subito riattivarla e donare le famose minestrine in modo ecumenico sia all’esercito russo che ucraino.
Tregua assicurata e fertilizzante per i girasoli!
Quando si dice un prodotto etico e sostenibile …
Mi pare ottima questa nuova rubrica sui luoghi del Senese, soprattutto se meno conosciuti o comunque fuori dai circuiti turistici tradizionali.
Comunque visto che c’era tanta gente – prima che il compagno Putin scatenasse l’inferno – che andava a visitare Chernobyl, si potrebbe provare a lanciare anche l’Idit con vista sui piloni di cemento armato dall’altra parte della Cassia…
A proposito della zona Isola d’Arbia vogliamo parlare di quella autentica fabbrica di soldi rubati al popolino rappresentata dal tutor di Malamerenda? Multe tutti i giorni e tutte le ore senza tener conto di traffico,ora o condizioni atmosferiche. Non parliamo poi dell’altra autentica macchina pelapoveracci situata sulla bretella tra la Siena-Grosseto e la Siena-Bettolle. Con gli stranieri che,ovviamente,pagheranno,forse nella misura del 10%. Altresì,questo solerte comune,potrebbe accorgersi di una auto abbandonata da anni a lato della strada principale sp408 prima del Ponte a Bozzone? Lì da tre anni senza assicurazione nè revisione,un autentico cult,Citroen Xm!!!!
Come ho già scritto abito all’Isola d’Arbia da un bel pezzo e quindi passo da Malamerenda almeno 2 volte al giorno ma, e sottolineo il ma, non ho mai preso una multa causa l’eccessiva velocità da quando il De Mossi ha modificato il “controller” messovi da quel simpaticone di Valentini.
Non sono abituato a colloquiare con gli sconosciuti quindi se quello di gracciano ci fa sapere come si chiama (niente nomi falsi prego) oppure devo suppore che sia in malafede o sia un comunista oppure un comunista in malafede.
Nessun problema,mi chiamo Fabio Giannini,l’eretico mi conosce anche di persona,credo sia normale che uno dell’isola d’arbia non prenda la multa a Malamerenda,se non lo sa lui…. Ti garantisco però che sia a Malamerenda ma soprattutto nell’altro della bretellina le multe fioccano (Protocollo oltre 19mila emesse dal Comune all’11 maggio,quindi circa 145 al giorno (!!!!)). Ti garantisco inoltre che so,per motivi lavorativi,che una stragrande parte viene presa da automobilisti stranieri (preciso:turisti onde evitare levate di scudi antirazziste fuoriluogo) e che di queste,ben poche verranno riscosse dall’amministrazione comunale. Anche perchè gli importi sono esagerati,in Austria ti fanno 40 Euro per superamento di velocità, per dire.Ecco,mi permetto di suggerire all’eretico un argomento di dibattito,gli autovelox o tutor che dir si voglia,strumenti di prevenzione o di riscossione?
Ecco, il suggerimento mi piace e secondo me si potrebbe anche andare oltre: confrontare i tassi di incidentalità e mortalità sui due tratti di strada prima e dopo l’introduzione degli autovelox/tutor (al netto del calo di traffico nel periodo covid, magari!). Se si sono effettivamente ridotti in maniera significativa, allora bene che siano stati attivati, altrimenti è solo un modo per spellare la cittadinanza ed i turisti rimpolpando il bilancio comunale. Magari una richiesta del genere potrebbe essere oggetto di una interrogazione consiliare, tanto per dare ufficialità alla cosa. Se i dati sono quelli che mi aspetto, si avrebbe anche la risposta ad un altro annoso interrogativo: perché mettere questi strumenti (che – ricordiamolo – dovrebbero migliorare la sicurezza stradale!) in tratti extraurbani e non, per dire, in prossimità di scuole o altre zone dove magari ci sono rischi anche per i pedoni? Ai posteri l’ardua sentenza.
Comunista in malafede…..tutti i comunisti sono in malafede…o allocchi che hanno creduto a gentaglia che si è approfittata di loro .
I fascisti invece no, loro sono onesti, sinceri, giusti, rispettosi, con alti valori morali e civici, con una teoria ideologica di riferimento da prendere a modello.
Nel mezzo ci sono tutti gli altri, in una perfetta curva gaussiana.