Zibaldone ereticale: Giuseppe, Maria e Giacomino (più un film)…
Eccoci dunque all’appuntamento con il domenical Zibaldone, conforto alla pochezza della quotidianità pubblica senesota (e nazionale, sia consentito).
Iniziamo con un libro che non poteva non colpire l’eretico, tante e tali sono le sue implicazioni storico-religiose: “Inchiesta su Maria – La storia vera della fanciulla che divenne mito” (Rizzoli, 358 pagine, 19 euro), di Corrado Augias e del professor Marco Vannini, mariologo di chiara fama, come si diceva una volta. Scritto in forma di intervista: Augias argomenta e chiede, Vannini risponde.
La prossima domenica, ne riparleremo, trattando di Maria; oggi vorremmo occuparci del Capitolo dedicato a Giuseppe, questa figura così trascurata e marginalizzata dalle Scritture, eppure popolare. Stimolantissimo l’excursus fatto da Vannini, sulla figura in oggetto:
“Giuseppe non compare nemmeno nella enciclopedica “Leggenda aurea” di Jacopo da Varazze (XIII secolo) che pure tratta di una quantità di santi grandi e piccoli. Non ha neppure un posticino – e questo è davvero significativo – nel Paradiso di Dante.
Per cominciare a trovare attenzione, e poi anche devozione, verso Giuseppe bisogna aspettare almeno il Quattrocento. La festa del santo, il 19 marzo, venne istituita solo alla fine di quel secolo, da papa Sisto IV. In seguito però c’è una sorta di accelerazione, soprattutto nella Spagna post-tridentina, per impulso di santa Teresa d’Avila, che aveva per lo sposo di Maria una profonda venerazione e a lui intitolò il suo primo convento” (op.cit., pagine 116- 117).
Il buon Giuseppe (ringiovanito rispetto alla facies quattrocentesca di vegliardo, per ovvi motivi) diventerà in seguito emblema del lavoratore cristiano, in contrapposizione a quello socialista, sotto Leone XIII: il Papa della Rerum novarum intitolò infatti proprio a Giuseppe una intera Enciclica, la Quamquam pluries (1889).
Da una Chiesa all’altra. Rivisto un gran bel film di Ettore Scola (non mortificato dalla visione in Dvd): “La terrazza”, 1980.
Cast stellare, per una pellicola che pare anticipare, sotto molti aspetti, “La grande bellezza”, trionfante la scorsa stagione al botteghino.
Il film di Scola fu premiato a Cannes per la migliore sceneggiatura (Scola, Age e Scarpelli) e per Carla Gravina migliore attrice non protagonista.
L’ambientazione romana è la stessa, pur con una fotografia meno preziosa e ricercata di quella di Sorrentino; ma soprattutto è il milieu dei protagonisti, a risultare il medesimo, 30 anni abbondanti prima. Scola esplora, da entomologo consumato, un mondo che gli appartiene, e che si permette di criticare con luciferina spietatezza (chissà se, da giovane, se lo sarebbe potuto permettere, chissà…): quello della produzione culturale – e del correlato mondo – della Sinistra comunista.
Abbiamo così i percorsi di vita di uno scrittore in perenne crisi di ispirazione (un Trentignant autolesionista), un critico cinematografico marxista (Stefano Satta Flores, in versione “C’eravamo tanto amati”), un funzionario Rai anoressico (un dolente Serge Reggiani), un produttore in crisi con la moglie (Ugo Tognazzi, il meno politicizzato fra tutti), nonché infine un Vittorio Gassman deputato Pci.
Chicca scoliana: verso il finale, il film mostra (con sequenze anche documentaristiche) il XV Congresso Pci (Napolitano presente, oltre a Berlinguer ed agli altri pezzi grossi del partito-Chiesa).
Preso di mira per la sua relazione extraconiugale con Stefania Sandrelli, Gassman fa un intervento, originale quanto spiazzante, al Congresso, rivendicando il diritto alla felicità personale, e alla libertà dei sentimenti.
La cosa creò scandalo autentico, in un mondo (quello del partitone vecchia maniera) conformista, bigotto ed anche omofobo, quasi come quello, egemone, della sempiterna Dc.
Un film, dunque, che fece discutere molto allora, e che può essere di grande stimolo anche oggi, a livello comparativo: e per più di un motivo, a dirla tutta. Quel mondo dell’intellighentsia di sinistra, in fin dei conti, non è molto cambiato…
Il solito Giacomo Leopardi che non t’aspetti, per finire:
“Il sentimento della vendetta è così grato, che spesso si desidera d’essere ingiuriato per potersi vendicare, e non dico solamente da un nemico abituale, ma da un indifferente, o anche (massime in certi momenti d’umor nero) da un amico”.
Giacomino attaccabrighe? In potenza almeno, decisamente sì. Chi l’avrebbe detto?
Ps Per celebrare “degnamente” i 700 anni dalla nascita di messer Boccaccio, le istituzioni preposte hanno visto bene di fare stampare manifesti con ragazze seminude. Sono già venute fuori polemiche. Chissà che cosa metteranno per celebrare Dante nel 1321, per i 700 anni dalla morte…
Articolo stimolante, complimenti! Davvero un sollievo culturale, in un tempo in cui ce n’è gran bisogno..
Riporto un veloce sunto sulla vita di Giuseppe:
Giuseppe nacque probabilmente a Betlemme, il padre si chiamava Giacobbe (Mt 1,16) e pare che fosse il terzo di sei fratelli. La tradizione ci tramanda la figura del giovane Giuseppe come un ragazzo di molto talento e un temperamento umile, mite e devoto.
Giuseppe era un falegname che abitava a Nazareth. All’età di circa trenta anni fu convocato dai sacerdoti al tempio, con altri scapoli della tribù di Davide, per prendere moglie. Giunti al tempio, i sacerdoti porsero a ciascuno dei pretendenti un ramo e comunicarono che la Vergine Maria di Nazareth avrebbe sposato colui il cui ramo avrebbe sviluppato un germoglio. “Ed uscirà un ramo dalla radice di Jesse, ed un fiore spunterà dalla sua radice” (Isaia). Solamente il ramo di Giuseppe fiorì e in tal modo fu riconosciuto come sposo destinato dal Signore alla Santa Vergine.
Maria, all’età di 14 anni, fu data in sposa a Giuseppe, tuttavia ella continuò a dimorare nella casa di famiglia a Nazareth di Galilea per la durata di un anno, che era il tempo richiesto presso gli Ebrei, tra lo sposalizio e l’entrata nella casa dello sposo. Fu proprio in questo luogo che ricevette l’annuncio dell’Angelo e accettò: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38).
Poiché l’Angelo le aveva detto che Elisabetta era incinta (Lc 1,39), chiese a Giuseppe di accompagnarla dalla cugina che era nei suoi ultimi tre mesi di gravidanza. Dovettero affrontare un lungo viaggio di 150 Km poiché Elisabetta risiedeva ad Ain Karim in Giudea. Maria rimane presso di lei fino alla nascita di Giovanni Battista.
Maria, tornata dalla Giudea, mise il suo sposo di fronte ad una maternità di cui non poteva conoscerne la causa. Molto inquieto Giuseppe combatté contro l’angoscia del sospetto e meditò addirittura di lasciarla fuggire segretamente (Mt 1,18) per non condannarla in pubblico, perché era uno sposo giusto. Infatti, denunciando Maria come adultera la legge prevedeva che fosse lapidata e il figlio del peccato perisse con Lei (Levitino 20,10; Deuteronomio 22, 22-24).
Giuseppe stava per attuare questa idea quando un Angelo apparve in sogno per dissipare i suoi timori: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1,20). Tutti i turbamenti svanirono e non solo, affrettò la cerimonia della festa di ingresso nella sua casa con la sposa.
Su ordine di un editto di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutta la terra (Lc 2,1), Giuseppe e Maria partirono per la città di origine della dinastia, Betlemme. Il viaggio fu molto faticoso, sia per le condizioni disagiate, sia per lo stato di Maria oramai prossima alla maternità.
Betlemme in quei giorni brulicava di stranieri e Giuseppe cercò in tutte le locande, un posto per la sua sposa ma le speranze di trovare una buona accoglienza furono frustrate. Maria diede alla luce suo figlio in una grotta nella campagna di Betlemme (Lc 2,7) e alcuni pastori accorsero per fargli visita e aiutarli (Lc 2,16).
La legge di Mosè prescriveva che la donna dopo il parto fosse considerata impura, e rimanesse 40 giorni segregata se aveva partorito un maschio, e 80 giorni se femmina, dopo di che doveva presentarsi al tempio per purificarsi legalmente e farvi un’offerta che per i poveri era limitata a due tortore o due piccioni. Se poi il bambino era primogenito, egli apparteneva per legge al Dio Jahvè. Venuto il tempo della purificazione, dunque, si recano al tempio per offrire il loro primogenito al Signore. Nel tempio incontrarono il profeta Simeone che annunciò a Maria: “e anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35).
Giunsero in seguito dei Magi dall’oriente (Mt 2,2) che cercavano il neonato Re dei Giudei. Venuto a conoscenza di ciò, Erode fu preso da grande spavento e cercò con ogni mezzo di sapere dove fosse per poterlo annientare. I Magi intanto trovarono il bambino, stettero in adorazione e offrirono i loro doni portando un sollievo alla S. Famiglia.
Dopo la loro partenza, un Angelo del Signore, in apparizione a Giuseppe, lo esortò a fuggire: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e sta la finché non ti avvertirò; perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo” (Mt 2,13).
Giuseppe si mise subito in cammino con la famiglia (Mt 2,14) per un viaggio di circa 500 Km. La maggior parte del cammino si svolse nel deserto, infestato da numerose serpi e molto pericoloso a causa dei briganti. La S. famiglia dovette così vivere la penosa esperienza di profughi lontano dalla propria terra, perché si adempisse, quanto era stato detta dal Signore per mezzo del Profeta (Os XI,1): «Io ho chiamato il figlio mio dall’Egitto» (Mt 2,13-15).
Nel mese di Gennaio del 4 a.C, immediatamente dopo la morte di Erode, un Angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi il bambino e sua madre e và nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino» (Mt 2,19). Giuseppe obbedì subito alle parole dell’Angelo e partirono ma quando gli giunse la notizia che il successore di Erode era il figlio Archelao ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si adempisse quanto era stato detto dai profeti: «Egli sarà chiamato Nazareno» (Mc 2,19-23).
La S. famiglia, come ogni anno, si recò a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Trascorri i giorni di festa, si incamminarono verso la strada del ritorno credendo che il piccolo Gesù di 12 anni fosse nella comitiva. Ma quando seppero che non era con loro, iniziarono a cercarlo affannosamente e, dopo tre giorni, lo ritrovarono al tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati ti cercavamo». (Lc 2,41-48).
Passarono altri venti anni di lavoro e di sacrificio per Giuseppe sempre accanto alla sua sposa e morì poco prima che suo figlio iniziasse la predicazione. Non vide quindi la passione di Gesù sul Golgota probabilmente perché non avrebbe potuto sopportare l’atroce dolore della crocifissione del Figlio tanto amato.
Mah il collegamento di boccaccio con le ragazze seminude ci potrebbe anche essere se si pensa a tante novelle scollacciate presenti nel Decamerone. Pensiamo al rapporto ‘pepato’ del nostro con Fiammetta. Quando toccherà a Dante le cose saranno più serie sicuramente. Io vorrei dire qualcosa su Leopardi, penso che non fosse quella persona triste che sembra essere nelle sue poesie perchè ha scritto un poema ad un giocatore di pallone; segno che qualche svago se lo concedeva anche lui, se non fosse andato a qualche partita non avrebbe certo scritto la poesia. E poi Ranieri era un vero amico; lo ospitava a Napoli e sopportava le sue fughe notturne nei Quartieri Spagnoli e poi lo riportava ormai in coma diabetico a casa. Si perchè Leopardi era molto golose e poi a Napoli i ‘gobbetti’ sono sempre stati benvoluti. Insomma non era stato fortunato nella sua vita, ma qualche piccola soddisfazione l’ha avuta anche lui.
Caro “senese controcorrente”,
mi potresti dire qualcosina in più (la fonte della notizia, per esempio) sui presunti coma diabetici da Quartieri Spagnoli?
La cosa – potrai capire – mi incuriosisce e pungola assai…
L’eretico
La fonte su Leopardi diabetico viene in parte dal libro ‘L’Italia giacobina e carbonara’ di Indro montanelli e confermato dai siti http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/arte_e_cultura/2012/25-gennaio-2012/ecco-confetti-che-uccisero-leopardial-suor-orsola-collezione-ruggiero-1903003553914.shtml
http://www.lostrillone.tv/legginotizia.asp?idcatnotizia=8&idnotizia=2621&titolo=La%20Logos%20e%20il%20periodo%20napoletano%20di%20Giacomo%20Leopardi.
Ovviamente tutto quanto sopra è col beneficio di inventario perchè ci sono varie tesi discordanti, ma che il Poeta fosse goloso di dolci è appurato e facilmente il diabete è stato solo il colpo di grazia alla sua salute precaria. Comunque saperlo ghiotto di dolci e sfogliatelle lo fa diventare più simpatico e scendere dal piedistallo tra noi persone semplici, condividendo il piacere di mangiare un po’ di dolce. Con la rabbia e il pessimismo che aveva addosso, almeno in quei momenti sarà stato un po’ meno abbacchiato e più sollevato dai suoi malanni. O no?
Caro “Senese controcorrente”,
ti ringrazio – anche a nome dei lettori – per il tuo prezioso aiuto: e non c’è alcuna ironia, credimi.
Grazie davvero!
Quanto a Paolo che maliziosamente chiede di Augias, rispondo: probabilmente non pubblicherà mai un testo critico su Maometto. Ma questo non toglie che sulla Madonna e non solo abbia scritto tutt’altro che panzane. Il cattolico – ad eretical parere – non dovrebbe accontentarsi solo della non reciprocità, no?
L’eretico
Caro Eretico, apprendo su Repubblica che il principe dei pensatori laici e razionalisti italiani sostiene quanto segue: “L’Essere è un tessuto di energia. Energia caotica ma indistruttibile e in eterna caoticità. Da quell’energia emergono le forme quando l’energia arriva al punto di esplodere”. Dopo Oddifreddi, ecco un altro bel saggio di fantascienza. Mi sembra molto più razionale credere in Maria Vergine…senti a me…
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VISTO CHE DA TEMPO IL MONDO NON VA DA CAMOLLIA A PORTA ROMANA, NON C’E’ NIENTE DA DIRE SU CIO’ CHE ACCADE IN QUEL PAESE CHIAMATO ITALIA CHE BENE O MALE CONDIZIONA ANCHE I NOSTALGICI DELLA REPUBBLICA DI SIENA?
Eretico, perche’ non proponi ad Augias il titolo del prossimo saggio/intervista? Suggerisco: “Inchiesta su Maometto”. Secondo te il nostro avrebbe il coraggio di scrivere le medesime scempiaggini che ha scritto su Gesu’ e Maria?