La domenica del villaggio: Padova, città delle contraddizioni (e 3 Ps)
Questa settimana, per la nostra rubrica cultural-domenicale, puntata monografica dedicata a Padova, dalla quale lo scrivente è appena tornato: una città certo piena di fascino, e con tanti aspetti su cui riflettere. Noi, stasera, punteremo soprattutto sulla chiave di lettura del binomio Fede-Ragione…
Buona lettura a tutti, dunque!
PADOVA, UN ORTO BOTANICO DA NON PERDERE (VICINO AL SANTO)
Si può andare a Padova, e non entrare nella Cappella degli Scrovegni? Si può trascurare Giotto, per darsi alla Botanica (e non solo)? A costo di apparire elitisti, ebbene noi l’abbiamo fatto. E per purissimo caso – le scoperte più belle avvengono così, no? – abbiamo letto, da una lapide posta in un prestigioso palazzo in stile veneziano sito in Prato della valle, che anche per il Vate era proprio così: di Padova, più che tutto il resto (Scrovegni inclusa), D’Annunzio amava proprio il passeggiare tra gli olmi ed i marmi di quel gran bel luogo che, parafrasando il Foscolo, potremmo chiamare “il tempio en plein air delle patavine glorie”.
Veniamo però a ciò che, oltre appunto al Prato della valle, abbiamo visitato: la Basilica di Sant’Antonio e il meraviglioso Orto botanico, che si trovano peraltro a poche decine di metri l’uno dall’altro.
Uno dei luoghi più visitati del patrimonio artistico italiano (pare 6,5 milioni di persone all’anno!), connotato da un milieu stilistico che parte dal Romanico, passa per il Gotico ed il Rinascimento, per approdare al Bizantino, la Basilica si offre – sin dalle 6,30 di mattina – al suo pubblico, con il suo status davvero particolare: appartiene al Vaticano (e infatti un bandierone bianco e giallo campeggia, in alto sulla facciata), ma non gode di extraterritorialità.
L’Orto botanico, da par suo, fu fondato nel 1545, grazie ad una delibera senatoriale della Serenissima; l’hortus cintus conserva tutta la sua bellezza (impreziosita da una mostra temporanea di foto legata ai paesaggi, montani e boschivi, di Mario Rigoni Stern, l’autore dell’indimenticabile romanzo-verità “Il sergente nella neve”), ed in più, dal 2014, è impreziosito di una nuova, enorme, area di 15 ettari (“Il giardino della biodiversità”), di straordinaria bellezza e contraddistinta dall’ottima fruibilità per il visitatore. In un Paese che ha bisogno di divulgazione, in primo luogo scientifica, come dell’aria, questa area non si può perdere.
Da una parte, dunque, la Fede, con Sant’Antonio, e con le sue reliquie: il mento del Santo, la lingua “incorrotta”; dall’altra, a pochi metri, la Ragione, il tentativo di conoscere sempre di più la Natura, con l’Orto botanico universitario più antico del mondo. Si può ben dire: i due mondi non sono inconciliabili, l’uno non esclude l’altro; corretto: ci sono fior di atei – soprattutto oggi -, che sono ignoranti come caprette al pascolo, e d’altra parte – come tutti sanno – ci sono fior di uomini di Scienza nelle fila della Chiesa (i gesuiti primi inter pares, senza dubbio alcuno). Ed è del tutto verosimile che, fra la gente che abbiamo visto in disciplinata fila, all’interno della Basilica, per le reliquie del Santo, alcuni, in precedenza o subito dopo, siano stati al suddetto Orto botanico. Quanti potranno essere, quelli dell’et et? Vogliamo essere generosi: il 30, il 40%. Resta un 70, un 60% che va solo ad osservare la presunta lingua “incorrotta” di un Santo tardomedievale, nulla interessandogli di un Orto botanico unico al mondo.
Ed ancora su questo rapporto fra Scienza e Fede, con una riflessione che non a caso nasce a Padova, ove Galileo ebbe cattedra (soffiandola al Bruno, tra l’altro): nessuno scienziato mai – se la memoria non ci inganna -, ha mai potuto/voluto impedire ad un credente di essere tale; mentre fior di Papi, inquisitori, Cardinali e Vescovi hanno voluto/potuto impedire ad uomini di Scienza di fare con serenità il proprio lavoro.
Per finire: accanto all’ingresso della monumentale Basilica del Santo, c’è un’enorme statua bronzea, ad opera di Donatello, che ritrae il Gattamelata (Erasmo da Narni): che era un fior di mercenario, pagato per sgozzare, e fare sgozzare, i nemici della Serenissima. A proposito di contraddizioni, quello era un tempo – la statua equestre è della prima metà del Quattrocento – in cui il Cristianesimo non si vergognava affatto della propria violenza. Tanta acqua è passata sotto quei ponti, certo: più di quanta ne possa contenere il placido Bacchiglione che attraversa Padova; ma questo è accaduto per autentica scelta e vocazione, o perché la Chiesa offre oggi ottimi consigli, non potendo più dare cattivi esempi?
Ps 1 A proposito di eccellenti divulgatori scientifici, in settimana ci ha lasciati il professor Dànilo Mainardi, che molti ricorderanno a Superquark a discettare sugli animali, con leggerezza e padronanza degli argomenti. Un grande conoscitore ed amante degli animali, alieno dall’animalismo estremista. Meditate, gente, meditate…
Ps 2 In Basilica, in una delle tante cappelle, si viene a conoscere la storia straordinaria di un francescano che aiutò gli ebrei, in quel devastante 1944; poi fu catturato dalle SS, torturato (senza parlare), infine ammazzato come un cane rognoso. Non aveva ancora 40 anni. Lui è padre Placido Cortese, e la sua storia merita di essere conosciuta (d’altro canto, anche padre Kolbe era un frequentatore della Basilica).
Ps 3 Mercoledì 15, alla libreria Senese alle 18, presentazione del libro di Francesco Guida “Placido Martini Socialista, massone, partigiano” (Angelo Pontecorboli editore); ne parleranno, con l’autore, Vinicio Serino e lo scrivente. Sarà un incontro stimolante, perché la figura del biografato (trucidato alle Fosse ardeatine, dopo essere stato torturato in Via Tasso), lo merita ampiamente; ed anche perché è bello e rinfrancante, una volta tanto, parlare con grande ammirazione di un massone…
Caro Eretico, complimentandomi ancora una volta con il tuo pezzo domenicale, mi piace integrarlo con due “chicche”, come scriveresti: quanto al Vate, ieri 12 marzo era il suo compleanno (Pescara, 12 marzo 1863). Quanto a Galileo, ho ritrovato su Robinson di ieri questa frase, che non mi ricordavo: “La Natura è un libro in caratteri matematici”.
Grazie di tutto.
Caro Professore
La memoria inganna….
Oggi la scienza è diventata di più di una religione. Vengono imposte per legge certe cose, come se fossero vere. La scienza non è più dubbio quindi ricerca, ma è certezza. Esempi :Non esiste cosa più incerta della medicina eppure la legge obbliga… Forse non è vero professore?……
E’ bello che tu parli dell’ orto botanico di Padova come paragonabile come importanza ai grandi monumenti della città. E’ da secoli una palestra per lo studio della botanica, ma non solo perché frutto dello sviluppo scientifico in senso galileiano. Per dire, fra il ‘200 e il ‘300 c’è stato a Salerno un orto botanico della scuola medica salernitana… Gli orti botanici, come “orti dei semplici”, nascono dalla ricerca intorno alle erbe medicinali -esistevano anche nei conventi medievali. Nel ‘500 la graduale revisione delle conoscenze sulle sostanze usate nella preparazione dei medicamenti, portò alla istituzione delle prime cattedre universitarie di “lettura dei semplici”, e furono chiamati a insegnare i migliori conoscitori di piante, come docenti di medicina pratica (a Bologna, Pisa, Ferrara, Siena..). Negli anni in cui nasceva l’Orto botanico di Padova, e in Europa cominciava la verifica delle conoscenze degli antichi, un medico senese “espatriato” nel nord Europa, Pietro Andrea Mattioli, naturalista esterno ai circuiti accademici, pubblicava in volgare i suoi Commentari al De Materia Medica di Dioscoride, che sarebbero diventati celebri come opera di riferimento per medici, farmacisti, botanici. Negli anni in cui è stata presidente dell’Accademia dei Fisiocritici qui a Siena, la prof.Sara Ferri ha
avuto tra i suoi meriti quello di promuovere un libro a più mani e un convegno su Mattioli nel 2001. Di recente è stato presentato ai Fisiocritici un volume utile da consultare: “Orti botanici eccellenze italiane”, di Marina Clauser e Claudio Pavone (Thema edizioni 2016),
Mi correggo, è PIETRO Pavone (e non il compianto storico CLAUDIO), che ha curato con Marina Clauser il libro sugli orti botanici.
Altro che orto botanico, di Padova abbiamo ereditato tutta l’erba cattiva e la malapianta di Antonveneta ha permesso innesti molto infestanti che hanno messo le radici anche nei partiti di (ormai finta) opposizione con la creazione di un ibrido patavin-fiorentino, il Giglio Fradicio, notoriamente coltivato in segreto ma con buona remunerazione nei vivai pistoiesi.
Malattie della piante:
La xilella 121 fu importata (non) casualmente da un improvvida decisione ,di una
Equipe di agronomi senesi ,i quali vollero trapiantare alcuni olivi salentini
Sulle balze senesi.
Il noto agronomo baffino garanti la salubrità Delle piante in questione,ma aivoi
La perniciosa malattia si annidava negli esemplari importati .
Fu l inizio dell’epidemia ,che dopo qualche anno,fu seguita da altre infestazioni
Da parte di olivi Euganei,incoscientemente trapiantati in quel di Siena
Avevate a fa ‘ col leccino frantoiano moraiolo come sempre.
Invece…….