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Bergoglio: il Papa che voglio? Con 2 Ps, ed un augurio…

Nel marzo del 2013, a caldo, intitolai il pezzo ad hoc così: “Bergoglio, il Papa che voglio”; a distanza di 12 anni, purtroppo constato che molte delle mie speranze (effettivo spazio delle donne nella Chiesa, per esempio) erano state mal riposte, e solo alcune promesse erano state, assai lodevolmente peraltro, rispettate; colpa delle resistenze curiali, certo, ma anche evidente difetto di leadership pontificale: Bergoglio è stato straordinario a livello di empatia – anche mediatica -, meno efficace sul piano delle riforme. Parafrasando Pietro Nenni: con lui Papa, “piazze strapiene, chiese semivuote”…

LE CONTRADDIZIONI BERGOGLIANE: UN PAIO DI ESEMPI

Davvero arduo, il trovare una sintesi dei dodici anni del pontificato bergogliano: non solo fra luci ed ombre (cosa che si può scrivere di ogni Papa, a parte casi come Giovanni Paolo I, purtroppo troppo brevi), ma proprio per l’oggettiva difficoltà (nonché le contraddizioni alimentate da lui stesso) di un giudizio coerente ed esaustivo. Bergoglio ha spesso contraddetto se stesso, e ricordiamoci che un Papa – specie su certi argomenti – parlerebbe insufflato dallo Spirito Santo, come da dogma di Pio IX in odore di perdita del potere temporale.

Fra gli svariati, prendiamo per esempio un tema cruciale come quello dell’omosessualità: cosa ne pensasse davvero il Papa venuto dall’Argentina, chi lo può effettivamente dire? Siamo infatti passati dal celebre “se una persona è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicarla?”, di inizio pontificato (apertura mai veduta prima), al ben più recente – meno di un anno fa -, nonché pronunciato davanti ad una riunione con i Vescovi (ex cathedra, dunque?): “nei seminari c’è troppa frociaggine”. Uscita talmente forte, da essere pressoché espunta dalla narrazione di questi giorni di lutto…

Giusto un altro esempio, non facendone altri per mere esigenze di tempo; il Papa è stato un pacifista assoluto, integrale: dal 1870 in avanti, di fatto, è una scelta obbligata, ma indubbiamente Francesco era sinceramente convincente, in questo suo afflato facilmente etichettabile come francescano (pur essendo lui gesuita, cosa che meriterebbe un pezzo a parte). Non tutti forse ricordano però che lo stesso Pontefice, dal nome e dall’afflato così irenico, è colui il quale disse – dopo la strage islamista di Charlie Hebdo, gennaio 2015 – che “se dici una parolaccia su mia mamma, ti devi aspettare un pugno”.

L’avesse detto – anche solo sussurrato – qualunque altro Pontefice, sarebbe venuto giù il Vaticano: il Papa che giustifica la violenza islamista, dei massacratori di giornalisti e vignettisti; il Pontefice dell’occhio per occhio, dente per dente, insomma: lo disse Francesco, e diventò invece un’uscita simpatica, bonaria e, comunque, del tutto innocente…

La coerenza di Bergoglio, invece, c’è stata su un aspetto tutt’altro che secondario: quello dei dindini vaticani, motivo di scandalo su scandalo; con lui, lungi dall’essere risolto il problema, passi avanti sono stati fatti. Anche qui, ci limitiamo ad indicarne due: il regime processuale per vescovi e cardinali è stato modificato, nel senso che oggi vengono giudicati dal tribunale vaticano e non da corti cardinalizie come era prima di Bergoglio: il caso Becciu – scottante in vista del Conclave – insegna quanto questo sia cogente.

In secondo luogo, Francesco è intervenuto con lungimiranza sullo Ior, facendolo entrare nei circuiti bancari internazionali; pur ancora con molto da migliorare, il Vaticano non è più quella sorta di paradiso fiscale che era diventato negli ultimi decenni. Se vi sembra poco…

 

UN PONTEFICE SBILANCIATO AD EST

Mentre su tantissimi altri aspetti del pontificato bergogliano ci sono – per dirla con termine ecclesiastico – dubia (dubbi) a non finire, su questo siamo – o dovremmo essere, sic – tutti d’accordo: Papa Bergoglio aveva una simpatia, piuttosto smaccata, per l’Asia, per l’Est in quanto tale.

Benissimo il dialogo interreligioso con tutti (qualcuno si ricorderà di Giovanni Paolo II ad Assisi), sempre potenzialmente fruttuoso anche per la geopolitica; sia però chiaro che l’atteggiamento verso l’Islam (senza tornare al post Charlie Hebdo), ed ancora di più verso il regime comunista cinese, è stato un’ombra: l’Accordo con la Cina – sempre lasciato nel mistero – del 2018, e poi rinnovato, pare davvero assai sbilanciato a favore di Xi, con il contentino alla Chiesa cattolica di continuare ad esistere con il suo nome (nomina nuda tenemus?). Realpolitik, si potrebbe dire: benissimo, ma allora non parliamo di “rivoluzioni”, e soprattutto ricordiamoci che la politica di realismo deve valere per tutti, a qualunque latitudine.

Mentre invece, con Papa Bergoglio, si è sempre avuta l’impressione che la liberaldemocrazia occidentale (già prima del Trump I, arrivato al quarto anno di pontificato) fosse vissuta come un autentico fastidio dal Santo Padre, il quale non nascondeva in alcun modo questa sua avversione: della quale, però, verso la Russia putiniana (al di là della sincera pietas verso la “martoriata popolazione ucraina”) e soprattutto verso la Cina (o l’Iran, ovvero financo Hamas) c’erano ben pochi segnali di evidenza.

Anche il fatto di essere stato il Papa più apprezzato ed amato dai progressisti, financo da intellettuali (Eugenio Scalfari, campione per decenni di laicità se non di laicismo, fu fra i primi a dettare la linea), da una parte deve essere ascritto a suo merito: ha fatto cadere muri inimmaginabili, da questo punto di vista; dall’altra, la critica, più volte a lui rivolta, di avere reso più immanente che non trascendente una Chiesa – la quale in effetti, in certi momenti, è sembrata muoversi come una Ong -, non è del tutto campata in aria.

Sia il Corriere della sera che Repubblica, martedì, hanno titolato sulla morte del “Papa degli ultimi”: titolo efficace e pregnante, meritato da Bergoglio. Solo che un Papa, deve essere non solo empatico con gli ultimi (e lui è stato davvero straordinario, in tal senso: e non solo perché chiunque fosse venuto dopo Ratzinger, da questo punto di vista, avrebbe vinto facile), ma anche avere una linea chiara con i primi, i primissimi del mondo. E, di questo parlando, qualche ambiguità – anzi, parecchie – nei 12 anni di pontificato è ben emersa…

 

SIENA, TERRA DI BERGOGLIANI E DI ANTI…

Forse non molti ci hanno fatto caso, eppure la cosa in sé è intellettualmente stimolante: in terra di Siena, vivono ed operano due esempi importanti di figure, schierate in modo antitetico sulla figura di Bergoglio.

C’è la figura interna alla Chiesa – ovviamente il Cardinale ed Arcivescovo Lojudice -, il quale è un bergogliano di ferro, anzi di acciaio: deve tutto a Francesco, è una figura di prete delle periferie per eccellenza; dall’altra parte, abbiamo un giornalista che è un punto di riferimento per una parte (fra conservatrice e galassia Comunione e liberazione) del mondo cattolico, vale a dire Antonio Socci, il quale è stato, sin dal 2013, assai critico con la figura papale incarnata da Bergoglio.

Augusto Paolo Lojudice – a Siena dal 6 maggio 2019 -, sarà uno dei Cardinali che si riuniranno nel Conclave: difficile trovare il profilo di un filobergogliano più coerente di lui; creato Vescovo (2015) e poi Cardinale (2020) dal Papa argentino, ne potrebbe incarnare la piena continuità, come solo Zuppi e pochi altri. La stampa nazionale non lo cita fra i papabili, forse anche per la giovane età (papalinamente parlando, si intende): classe 1964.

Quanto al giornalista Antonio Socci, nel 2014 aveva financo pubblicato un pamphlet in cui metteva in dubbio la legittimità dell’elezione di Francesco (!): “Non è Francesco La Chiesa nella grande tempesta” (pubblicato da Mondadori); pur riconoscendogli post mortem qualche attenuante, anche oggi (martedì, per la precisione) lo critica, con un editoriale su Libero (“Diario di un pontificato che non lascia una Chiesa più in salute”), con un occhiello che recita così: ” Bergoglio non si è risparmiato, ma era arduo succedere a giganti come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. La chiarezza della guida è mancata, però non è stato aiutato”.

Come vedete, a Sienina c’è spazio per tutte le posizioni: fortunatamente, per l’appunto, non siamo in Cina…

Ps 1 Anche in Sala storica si discetterà del pontificato bergogliano, nonché dell’imminente Conclave (che inizierà ai primi di maggio), con due appuntamenti davvero stimolanti: giovedì 8 maggio, infatti, la giornalista (Corriere della sera, Huffington post) Maria Antonietta Calabrò presenterà, insieme al Presidente, il suo ultimo libro (edito da Cantagalli), il quale offre documentazione di altissimo livello: “Il trono e l’altare – Guerra in Vaticano – Una storia inedita”; lunedì 19 maggio, poi, il professor Achille Mirizio – ovviamente introdotto dallo scrivente – ci offrirà una sua lettura dei 12 anni di Bergoglio. Due occasioni (una fissata ben prima della scomparsa di Bergoglio), per cercare di leggere al meglio il complesso mondo dei rapporti fra il Vaticano, l’Italia ed il mondo intero…

Ps 2 Tocca anche sottolineare il tristo spettacolo offerto dal Parlamento italiano, ieri; va bene che non esistono più gli anticlericali (con Francesco, tutti filopapalini, sic), però lo spettacolo del tirarlo dalla propria parte, evidenziando solo le cose favorevoli al proprio programma, è stato davvero indecente: la Destra, che sembra dimenticare tout court la questione dell’immigrazione; la Sinistra, che lo ha arruolato da tempo, nonostante per esempio chiamasse “assassini” i medici abortisti. Teniamo tutti famiglia, d’accordo, ma si conferma un’altra inveterata italica tendenza: non solo il salire sul carro del vincitore, ma anche su quello del defunto, specie se questo sa mobilitare consenso…

Buon XXV aprile a tutti! E se qualcuno, per l’occasione, prende un buon libro – tipo il capolavoro di Claudio Pavone – per sapere come sono andate le cose nel dettaglio, meglio ancora…

Ps (del giorno dopo), sul Caso Rossi: visto che la stampa ne scrive (fortunatamente, con parecchia meno enfasi di un tempo), aggiungo volentieri una postilla a quanto avrebbe stabilito la perizia del dottor Robbi Manghi, il quale sostiene che “le lesioni sul polso sinistro di David Rossi siano di tipo lacero-contuso quindi poco compatibili con una caduta a stampo di quel tipo”; e allora?

Siamo sempre lì, proprio come per le ferite sul volto del povero Rossi, ferite ovviamente non compatibili in alcun modo con la caduta (di schiena!): tutti fanno finta di non conoscere – pur conoscendola benissimo – la dinamica del suo suicidio  (che rientra nella casistica, piuttosto diffusa, del “gesto anticonservativo con esitazione”), con annesso sfregamento del corpo – polso compreso, come capirebbe chiunque – sui battenti della finestra (dotata di difesa antipiccioni, fra l’altro).

Ma va bene così, ci mancherebbe altro: la Commissione parlamentare – pagata dai contribuenti, seduta dopo seduta – è in action, e deve pure, in qualche modo, giustificare se stessa…

3 Commenti su Bergoglio: il Papa che voglio? Con 2 Ps, ed un augurio…

  1. Gp scrive:

    Parafrasando il Pontefice… dalle crociate alle frociate

  2. m.c. scrive:

    Caro Raffaele, sono contenta di aver letto questo tuo blog di oggi. Mi ricordo bene di quello di 12 anni fa “Bergoglio, il papa chevpglio”. Ti confesso che ho creduto che oggi avresti scritto un pezzo in continuità con quello scrivesti a inizio pontificato bergogliano. E invece mi sorprendo a compiacermi della onestà intellettuale di cui hai sempre fatto la tua cifra e il tuo vessillo durante tutta la tua carriera di blogger. Bravo! E grazie! Condivido la tua analisi. Vorrei aggiungere un dettaglio, di cui spero parlerai (non conosco la tua posizione in merito). E mi riferisco alla posizione del Vaticano sul caso della povera Emanuela Orlandi. Dopo vari tentativi di avere un colloquio chiarificatore con il Santo Padre, il fratello della Orlandi non ottenne che un fugace incontro (una manciata di secondi) tra la folla, con cui Bergoglio lo liquidò dicendo “Emanuela è in cielo”. E so accomiatò dandogli un buffetto sulla guancia (come si potrebbe fare con un chierichietto). Un atteggiamento che non posso che definire vergognoso, infame, e indecente.Ora, sappiamo tutti che all’ anagrafe l’Emanuela Orlandi risulta ancora vivente, in quanto non fu mai possibile constatarne il decesso. Il cadavere non fu mai trovato, né si è a conoscenza della data in cui possa essere avvenuta la morte, né conosciamo le circostanze, o ad opera di chi possa essere stato perpetrato il delitto. Come poteva, il pontefice allora essere a conoscenza del decesso? Chi gliel’ha detto? E perché non ha mai voluto incontrare la famiglia a colloquio privato? Perché non ha mai collaborato fattivamente con le forze dell’ordine e le istituzioni preposte? Ecco, ormai si è portato il segreto nella tomba. Se hai tempo, ti suggerisco di guardare su Netflix un interessante servizio “Vatican girl” del compianto, e bravo, giornalista d’inchiesta Andrea Purgatori. Una pagina oscura della storia vaticana contemporanea.

  3. Ics scrive:

    La fogata “cani vs cittini” la parte migliore.
    L’approccio prono alla dittatura cinese la parte peggiore.
    In sintesi: un populista in salsa sudamericana che tanto è garbato ai comunisti pancia piena & culo al caldo.

    Comunque durante la traslazione della salma gente che riprendeva coi telefonini, gente che applaudiva.
    Uno spettacolo indecente anche per un ateo

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