La domenica del villaggio: l’omicidio Calabresi (e Calenda)
In vista dell’appuntamento in Fortezza di martedì 9 agosto (ore 18, bastione San Domenico), in occasione dei 50 anni dall’omicidio del Commissario Luigi Calabresi, dedichiamo interamente la rubrica cultural-domenicale alla rievocazione dell’evento, cercando quantomeno di toccare alcuni dei punti nevralgici della più che complessa vicenda.
Per chi volesse saperne di più – e magari porre qualche domanda allo scrivente -, l’appuntamento è per l’appunto per martedì pomeriggio: in un’ora, si cercherà di sintetizzare tutta la questione, e non sarà tempo perduto…
IL FATTO (17 MAGGIO 1972)
La mattina del 17 maggio 1972, colpito da due colpi di pistola (alla testa ed alla schiena), il Commissario di Polizia, responsabile della cosiddetta “Squadra politica” della Questura di Milano, viene freddato all’uscita da casa, lasciando due figli e la moglie – Gemma Capra – incinta.
Negli anni a seguire, tutti hanno confermato almeno due cose: la prima, che la vittima era una persona corretta, in un ruolo che definire caldo – in quegli anni, nella Milano post Piazza Fontana e post omicidio Annarumma -, sarebbe riduttivo; uno che aveva salvato Mario Capanna dal linciaggio, quando si presentò al funerale dell’agente di Polizia Annarumma. Inoltre, fu lo stesso magistrato Gerardo D’Ambrosio, nel 1975, a dire che in quella stanza, dalla cui finestra cadde l’anarchico Pinelli, in quel momento Calabresi neanche era fisicamente presente.
Eppure, eppure partì una campagna mediatica (carta stampata) di proporzioni inaudite contro Calabresi, campagna che ebbe il giornale del movimento “Lotta continua” in prima fila, ma subito dietro un settimanale che aveva vissuto momenti prestigiosi, e che macchiò la sua reputazione di allora con un vergognoso Appello – firmato da centinaia e centinaia di intellettuali – in cui si attaccavano magistrati e lo stesso Calabresi (giugno 1971).
Dal clima di odio, si passò alle pallottole, come assai spesso accadeva, e sarebbe poi accaduto, in quei perigliosi anni Settanta: e Luigi Calabresi, da par suo, fece la fine che abbiamo sopra ricordato…
ENTRA IN SCENA MARINO (LUGLIO 1988)
Luglio 1988, 16 anni abbondanti dopo il fatto di sangue, ormai inabissatosi all’interno del mare magnum dei delitti impuniti italiani, di ogni genere e tipo: entra prepotentemente in scena Leonardo Marino, ex di Lotta continua (versione gregario), ex operaio ed allora venditore di crepes in un baracchino a Bocca di Magra, il quale si autoaccusa di avere partecipato al delitto (guidando la Fiat 125 che conduce il killer sul luogo del delitto), ed accusando al contempo Ovidio Bompressi – altro gregario come lui – di essere l’autore materiale del delitto Calabresi. La cosa più clamorosa, però, è che Marino fa i nomi dei due, a suo dire, mandanti: l’allora lanciatissimo manager Giorgio Pietrostefani, e soprattutto un raffinato intellettuale – punto di riferimento di certa Sinistra – come Adriano Sofri, opinionista in molti giornali e trasmissioni.
L’impatto è devastante, sull’opinione pubblica italiana, la quale ovviamente inizia subito a dividersi; Pietrostefani, nel frattempo, vede bene di lasciare l’Italia per la Francia, ove ancora si trova grazie alla scandalosa Dottrina Mitterand (nel 2027, potrebbe tornare in Italia per prescrizione del reato, sic); Adriano Sofri invece, con un comportamento certo più degno e dignitoso dell’ex sodale, non fugge: condannato in via definitiva nel 1997, al termine di un lungo e periglioso iter giudiziario, a 22 anni, ne sconterà una quindicina nel carcere di Pisa, prima di tornare in libertà.
Sofri ha chiesto scusa alla famiglia per le parole vergate dai lottacontinuisti (dopo il 1988, non certo prima), ma si è sempre detto assolutamente innocente rispetto all’accusa di essere, insieme a Giorgio Pietrostefani, il mandante.
IL RITORNO DI LOTTA CONTINUA
Non abbiamo lo spazio per ripercorrere l’iter giudiziario (in cui c’è spazio anche per un’assoluzione) del caso: chi vorrà avere più delucidazione, venga martedì in Fortezza; in ogni caso, una cosa la possiamo e soprattutto la dobbiamo dire: il giorno dopo le clamorose dichiarazioni di Leonardo Marino (luglio 1988), gli ex lottacontinuisti iniziarono a marciare uniti, per colpire la credibilità – ed anche la persona, la moralità, la famiglia – dell’ex operaio divenuto venditore di frittelle a Bocca di Magra.
Si citerà il libro di Carlo Ginzburg (“Il giudice e lo storico”, Einaudi 1991), il quale, almeno, ha il merito di provare a distruggere la credibilità di Marino per tabulas (con alterni successi, mettiamola così); Ginzburg utilizza la sua acribia di storico, e non nasconde ai suoi lettori di essere da circa 30 anni un grande amico di Adriano Sofri, nella Introduzione.
Quanto a tutti gli altri (i Deaglio, i Boato, i Liguori, i Lerner e via dicendo), fu invece difesa aprioristica, a testuggine, arrivando a colpire duro sul personale, in mancanza di credibili, altri, argomenti. Unico fra gli ex lottacontinuisti a rompere il fronte, a distinguersi dal gregge, nel 1989, fu Giampiero Mughini, il quale ammise le gravi responsabilità di Lotta continua nella “caccia all’uomo” scatenata contro Calabresi, pur dicendo di non sapere se Sofri fosse personalmente responsabile.
Martedì si parlerà poi di un libro tanto importante, quanto semiclandestino (visto che le grandi case editrici hanno preferito rinunciare a buone vendite assicurate, pur di non sciupare l’idillio con la lobby ex lottacontinuista): “Così uccidemmo il commissario Calabresi”, il veemente j’accuse vergato, nel 2018, dallo stesso Leonardo Marino; visto che nessuno in tv lo invitava (mentre gli innocentisti erano di casa da Funari, da Maurizio Costanzo e ovviamente da Lerner), Marino ha deciso di scrivere la sua versione, che nel 1997 è uscita vincente dalla Cassazione. Un libro semiclandestino, il quale invece merita di essere conosciuto.
La postfazione è scritta da Gemma Capra Calabresi, una donna che ha saputo praticare l’arte del sincero perdono verso chi le ha ucciso il marito, nonché padre dei suoi figli; una persona, di fronte alla quale – e non è il caso di scomodare la retorica – si può solo, solamente e soltanto provare genuina ammirazione…
Ps Calenda rompe clamorosamente con il lettiano Pd, in diretta dalla Annunziata, dopo che 4 giorni prima aveva lui stesso vergato la bozza di accordo con il cartello elettorale di centrosinistra: e non è neanche detto che l’accordo con Renzi e Pizzarotti (il quale, fuori Parma, non crediamo abbia grandi voti) vada in porto. Colpo di scena, nella prima domenica agostana.
Ne riparleremo in settimana, nella rubrichetta del blog sulle “balneolezioni”, però certo che – come dicevano i nostri antenati – pacta servanda sunt (in Latino, il condizionale non esiste, eh)…
Questa volta, dò ragione a Letta: Calenda può allearsi solo con se stesso!
Quanto al Caso Calabresi, sul quale in modo lodevole l’Eretico torna, faccio notare non a lui, ma ai lettori, che il condannato in Cassazione Adriano Sofri fu invitato a vedere il Palio, nel 2007. Era evidentemente un punto di riferimento per quella Giunta e quel Sindaco (Maurizio Cenni). De Mossi ha invitato Salvini, e gli ha dato troppo spazio: ma la differenza mi pare che ci sia.
Certo uno come Letta se non ci fosse bisognerebbe inventarlo… fantastico lo stratega del PD
Calenda La Qualunque….come scrisse qualcuno
buonasera.
ho letto più volte il suo editoriale che mi ha ogni volta suscitato qualche perplessità.
la prima e più evidente è il trattamento semipaternalistico che traspare nei confronti di Marino, che in fin dei conti è un assassino conclamato, al pari dei mandanti. la sua responsabilità rimane piuttosto defilata e lasciata ai margini del fatto di sangue.
poi non ho letto neanche una riga su Pinelli, altra vittima innocente della tragedia di piazza fontana (un bell’editoriale ci starebbe benissimo, direi).
saluti
f
Caro Francesco,
per intanto sullo scrivere di avere letto più volte il mio pezzo: a fronte di alcuni, che commentano dopo letture assai frettolose, da social per capirsi, questo va sempre positivamente segnalato.
Quanto all’oggetto del contendere: nel mio pezzo c’è giusto un assaggio della complessissima vicenda; ieri, in un’ora precisa – con breve interruzione per due gocce di pioggia – si è cercato di approfondire anche altro, e c’è stato spazio anche per il povero Pinelli, come era sacrosanto che fosse.
Ed anche per la famosa sentenza del 1975 – a Calabresi assassinato da 3 anni -, la quale scagiona in toto il Commissario, con la tanto contestata formula, usata dal Giudice D’Ambrosio, del “malore attivo” di Pinelli: secondo la Giustizia italiana, dunque, l’anarchico milanese non fu ucciso, né si uccise; di certo, era cosa scandalosa che fosse da 3 giorni in Questura.
In ogni caso, ci dovrebbe già essere la registrazione integrale dell’evento su Sienacomunica.
L’eretico
Ero in Fortezza per l’evento, e mi complimento con te, caro Raffaele. In un argomento così complesso, scivoloso e divisivo ho riscontrato grande equilibrio. L’articolo finale di Massimo Fini, letto di seguito a quello di Lotta continua il giorno dopo l’omicidio Calabresi, è stato come un pugno nello stomaco: hai voglia di cercare di salvare l’esperienza di Lotta continua, come ha cercato di fare il Burroni dei sonetti nel suo intervento…si è visto dopo, che grandi idealisti erano, e i poveri cristi alla Marino come sempre ci hanno rimesso…grazie ancora!