La domenica del villaggio: Scalfari, il Papa laico (e 2 Ps)
Pur in ritardo di ben 10 giorni – i lettori concederanno che qualcosina di stimolante è pur accaduto, nel frattempo – si trova finalmente il modo di ricordare una figura, comunque la si pensi, di straordinaria importanza nel campo giornalistico, e culturale in senso lato, italiano: Eugenio Scalfari, il demiurgo di Repubblica. Per la campagna elettorale, c’è tempo fino al 25 settembre, nevvero?
UN UOMO FORTUNATO
Eugenio Scalfari è stato un uomo davvero fortunato: lo diciamo, consci di quel noto “Fortuna audaces iuvat”, quindi riconoscendo sin da subito che la sua statura di giornalista – di giornalista che parte dalla conoscenza dell’Economia, per poi arrivare come si vedrà all’empireo della Filosofia – non è certo in discussione.
Fortunato, perché arrivare a 98 anni – la classe era quella del 1924! – non è da tutti, e neanche da quasi tutti, e soprattutto è raro arrivarci da persona lucidissima ed attiva fin quasi alla fine; da quel che si intuisce, dunque, la sua è stata una splendida vecchiaia.
Scalfari è stato fortunato ed evidentemente bravo, giacché ha avuto la capacità di fare in modo che ogni santa domenica che Zeus manda in terra – fin quasi alla fine – i vari Direttori di Repubblica gli concedessero di scrivere quelle articolesse – spesso anche prolisse, va detto, e con errori che forse non venivano corretti per rispetto -, le quali comunque facevano mostra di sé sulla prima pagina di Repubblica, non proprio l’ultimo dei giornaletti di provincia.
Infine, è stato dannatamente fortunato anche per il giorno della morte: quel 14 luglio che – per chi come lui nasce culturalmente in ambito illuministico – è il giorno fra i giorni, per morire (il medesimo di Giuseppe Prezzolini, correva in quel caso l’anno 1982: ne scriveremo e parleremo).
Con due figlie che lo hanno seguito amorevolmente fino alla veneranda fine, con alle spalle una vita così piena e pregna di eventi e di gratificazioni personali, si può forse non definire Eugenio Scalfari un uomo fortunato e felice?
LO SCALFARI GIORNALISTA
Per intanto, va subito chiarita la primissima e più importante cosa: Scalfari è stato uno degli ultimi giornalisti del Novecento, pur continuando a scrivere per circa un ventennio nel XXI secolo; per lui, l’esperienza con la carta stampata era consustanziale: con i suoi tempi, i suoi riti, con le sue liturgie. Fu un “giornalista nella più novecentesca accezione del termine”, ha scritto opportunamente Mauro Campus (Domenicale Sole 24 ore, 17 luglio, pag. 7).
Ciò detto, va da sé che passerà alla Historia dell’italico giornalismo per avere creato Repubblica, in quel gennaio del 1976, andando a coprire un horror vacui che c’era per la Sinistra laica, riformista e pronta alle battaglie culturali e civili di quel tempo: un giornale effettivamente nuovo (anche come formato, che è oggi quello di pressoché tutti i quotidiani), in cui c’era grande spazio per la Politica, l’Economia, la Cultura (Letteratura, Cinema, Teatro), e dal quale – per i primi anni – erano banditi il gossip (come nel resto dei quotidiani seri, peraltro), ma anche lo sport. Prima di diventare il quotidiano dei tre grandi Gianni del giornalismo sportivo italiano: Brera, Mura, Clerici.
C’è anche uno Scalfari pre-Repubblica, però: L’Espresso, certo, il settimanale il quale si divideva nei Settanta la palma d’oro con Panorama, come capacità di portare avanti il migliore giornalismo di inchiesta (Scalfari viene ricordato soprattutto per avere denunciato il fallito golpe di De Lorenzo nel 1964); ma la sua formazione deriva dall’ambito del pannunziano Il Mondo, e in quello straordinario milieu culturale e giornalistico ad un tempo (nonché politico, all’insegna della migliore liberaldemocrazia), Scalfari scriveva spesso di avere due grandi maestri: Gaetano Salvemini e Ernesto Rossi (cui, per inciso personale, dedicai il mio La Casta di Siena, qualcuno forse ricorderà).
Non è qui il caso di andare a scandagliare il passato remotissimo fascista – Mussolini fu ucciso quando Scalfari aveva 21 anni -, però non si possono sottacere i peccati di cui nella lunga carriera Scalfari si è macchiato: per noi, non l’accanimento contro Berlusconi (pur durissimo, e spesso border line), ovvero prima contro Craxi, ovvero ancora contro il Presidente Leone, in compagnia di Camilla Cederna, bensì il fatto di essere stato uno dei firmatari di quell’appello – grondante, tracimante vergogna – contro il Commissario Calabresi (c’erano anche Paolo Mieli e Pasolini, fra i tantissimi altri; Pansa e pochissimi altri si rifiutarono di firmare). Il contesto era quello che era, e nel 2017 Scalfari ha ammesso l’errore di fronte alla vedova : ma una carognata – con conseguenze drammatiche -, quella resta per sempre tale…
Domanda finale del paragrafo sullo Scalfari giornalista (che poi è il più importante, ovviamente): esiste un suo successore? Secondo lo scrivente, sì; questo degno successore, con gli annessi pregi e difetti, c’è tutto, e si chiama Marco Travaglio. Anche lui, di fatto, fondatore di un quotidiano che fa opinione (Il Fatto, anche se nel 2009 il Direttore era Antonio Padellaro, va ricordato); anche lui, giornalista tanto abile e capace, quanto fazioso e disposto a tutto per difendere i suoi riferimenti politici del momento (per Travaglio, per ora solo Conte, mentre Scalfari ha avuto modo di approdare al pluralismo).
I due non si sopportavano in nessun modo, ma erano molto meno distanti di quanto potrebbe sembrare: chi conosce l’italico giornalismo, non tarderà più di tanto a rendersene conto…
LO SCALFARI FILOSOFO: IL PAPA LAICO
C’è, poi ed infine, lo Scalfari degli ultimi anni: quello che era approdato a temi prettamente filosofici, financo misticheggianti, che veleggiava “per l’alto mare” del pensiero; negli ultimissimi tempi, con tanto di approdo vagamente cattolico, con il suo aperto innamoramento cultural-filosofico-spirituale per Papa Francesco, il Papa capace di sedurre anche gli atei più impenitenti (vedasi anche Odifreddi, per dirne un altro, sed quorum non ego).
La Biblioteca comunale possiede tutti questi titoli dello Scalfari-filosofo e gran moralista (nell’accezione settecentesca, leopardiana se lo si vuole), e mi riprometto – durante le ferie agostane – di prenderne in mano un paio, che al momento della loro uscita avevo solo sfogliato, senza particolare estasi intellettuale; c’è chi vi ha visto il progresso dell’intellettuale, il quale abbandona le beghe dei palazzi romani – sempre ben frequentati, e con grande piacere, peraltro -, per addivenire a temi ben più alati, così come c’è chi ha letto in questo ultimo approdo scalfariano l’ennesimo, ed il più ambizioso, approccio narcisistico: dialogare con Dio, partendo dall’Io (il suo), per capirci.
Siamo troppo democristiani (ma non era lui, in funzione anticraxiana, ad avere preso una sbornietta mica da poco per Ciriaco De Mita?), a pensare che ci fossero un po’ di entrambi gli aspetti sopra delineati?
Ps 1 In settimana, falciato da una macchina mentre attraversava la strada (sulle strisce!), ci ha lasciato un linguista di grande spessore, quel Luca Serianni curatore, fra le altre cose, delle ultime edizione del Devoto-Oli. Persona di grande preparazione, da tutti descritta come pacata ed avente come missione (avrebbe aborrito, giustamente, che si dicesse “mission”) l’insegnamento dell’Italiano: un’impresa – in questi tempi di analfabetismo di ritorno – quasi eroica…
Ps 2 Appuntamenti in Fortezza, per la settimana ineunte: martedì, lo scrivente squadernerà ai presenti i retroscena di un delitto che fece epoca, al termine dei ruggenti anni Ottanta, quello della cosiddetta “Circe della Versilia”; giovedì, invece, spazio per la poesia, con un autore locale: Adamo Biancucci, con il suo “Come l’onda per le conchiglie” (Mondadori); ad introdurlo, Giovanni Mazzini e chi scrive. Sempre alle 18, sempre al bastione San Domenico della Fortezza. Chi non è al mare, ai monti o ai laghi (ormai pressochè prosciugati), non manchi…
Scalfari forse è stato un innovatore nel rapporto fra politici e giornalisti, ma non l’ho mai apprezzato, neanche come penna.
Con l’aria che tira (anche per merito dei radicali chic ‘scalfariani’) il povero Serianni forse si è risparmiato la delusione di sentirsi chiamare ‘linguisto’.
Con questo bollore, il pezzo ereticale su Scalfari brilla come al solito per intelligenza e equilibrio. Scalfari è stato post mortem massacrato da destra, senza che gli venisse riconosciuto niente (salvo Tony Damascelli sul Giornale), mentre i radical chic hanno fatto ricorso alle esagerazioni a favore (Michele Serra lo ha presentato come giornalista amato dal popolo, senza specificare di quale popolo si trattasse)…
“Papa laico”, un ossimoro, una vera contraddizione in termini, che, però, rende benissimo l’idea del pontificato di Francesco I.
Verrebbe quasi da dire: se non ci crede davvero più di tanto neanche lui che la sua religione sia quella vera, allora chiuda la saracinesca e consegni pure le chiavi all’Imam di Roma. Almeno facciamo prima.
Caro avvocato Panzieri,
a me questo gesto di credibili e sincere scuse per il comportamento vergognoso di tanti cristiani canadesi del passato, non sembra appunto così scandaloso…se un Pontefice chiede scusa, vuol dire che non crede più al Vangelo? Giovanni Paolo II al rogo!
Caro Uno,
veramente mi riferivo soltanto all’approccio laico di Francesco, posto in evidenza magistralmente dal nostro ospite, al suo Pontificato, che mi pare abbastanza in contrasto con quello che hae rappresentato per 2000 anni il Papa per i cattolici: non un opinionista raffinato, ma una guida sicura, come Giovanni Paolo II.
Infatti, il nostro se da una parte viene considerato da qualcuno addirittura un punto di riferimento dei progressisti, dall’altro mi pare abbia allontanato dalle chiese anche quel residuo gregge che il suo predecessore gli aveva trasmesso.
Dicevano, per restare in tema, gli indiani in un vecchio fumetto: se sei nato salmone non puoi essere bufalo …
Quanto alle scuse, delle quali veramente non mi ero punto interessato, quelle cui fai riferimento tu erano certamente originali, importanti e sincere.
Oggi, invece, sull’onda della ormai tristemente famosa “critical race theory” sono diventate soltanto un atto di conformismo e pronunziate nelle mani di Justin Trudeau, che ne è probabilmente l’alfiere più integralista, hanno quantomeno un retrogusto stantio.
Ma può anche darsi anche che mi sbagli e comunque per me può seguitare a scusarsi per tutte le colpe della Chiesa ogni giorno che Dio mette in terra in tutti gli angoli del globo.
La storia, comunque, è storia e non può essere cambiata, il presente, che avrebbe tanto, ma tanto bisogno di attenzioni, invece magari si …
“Living in the past” era un magnifico disco dei Jethro Tull, ma in questo momento critico non ce lo possiamo proprio più permettere.
Scalfari non mi ha mai convinto. E’ stato un buon giornalista, in senso formale, ma con qualche neo, non sempre sono stato d’accordo con lui, troppo sinistrorso, anche lui ha avuto le sue calate di stile (non solo l’affare Calabresi). Una delle tante quella di vendere “la Repubblica” a De Benedetti. Ricordo la vignetta satirica di Forattini di uno Scalfari che con un mezzo inchino offre su un piatto di argento una copia de “La Repubblica” a quella brava (sig) persona. Il suo avvicinamento alla religione? Lui già ultranovantenne, la paura dell’aldilà? Succede spesso a molti atei da giovani e poi arrivati vicino al “grande passo” il ripensamento.
Caro “Vedo nero”,
anche io avrei voluto ricordare molte altre cose di Eugenio Scalfari (quindi grazie per il tuo intervento), ma il tempo è così tiranno…
Quanto agli atei che muoiono in odore di conversione, te ne aggiungo uno, illustre ma con ampie zone d’ombra biografiche (che sia morto non vecchio, non conta: i suoi 39 anni, infatti, ne valgono 93 di uno “normale”): tale Giacomo Leopardi, from Recanati…
L’eretico
Ma Scalfari non ha avuto su sua richiesta una commemorazione laica?
Papa Francesco mi sembra che cerchi di arruffianarsi chi ha sempre criticato la Chiesa, il fatto che chieda scusa a destra ed a manca mi pare un conformarsi alla moda del momento, quella della revisione storica con la rivalutazione del buon selvaggio contro il bianco cattivo. I veri abitatori del Nuovo Continente erano tutti buoni, indifesi, pacifici? Si vedano Apocalypto di Mel Gibson. E poi queste sue continue concessioni alle nuove tendenze rischiano di far perdere la bussola al suo gregge senza avere molti incrementi di nuove pecorelle. Se proprio vuole fare una cosa giusta veda di far meno opere di facciata, ma far rigare severamente i suoi dipendenti.
Caro “Vedo nero”: “Apocalypto” è, per alcuni aspetti, una pellicola straordinaria, e l’avrò vista almeno una dozzina di volte; va anche aggiunto che è stato uno dei due film di Gibson assai strumentalizzato – come l’altro sulla Passione di Cristo – dalla Destra fondamentalista cristiana USA, in tempi peraltro pre trumpiani.
Insomma, per capirci: gli indios non erano certo angioletti, facevano i loro sacrifici umani (prendiamola pure per buona), ma di sicuro non rompevano le palline a noi europei, ecco…
Furono – come oggi qualcun altro – gli aggrediti, non certo gli aggressori: gira e rigira, il discrimine cogente è sempre quello, no?
L’eretico
Purtroppo la prepotenza fa parte della Storia, se la cosa fosse stata rovesciata, cioè loro scopritori del nostro Continente, si sarebbero comportati male come noi europei. Sono pessimista sulla natura umana, con la tecnologia attuale potremmo addirittura bonificare il Sahara invece ci balocchiamo a cercare l’acqua su Marte. La voglio dire grossa: tra i nostri antenati preistorici siamo poco evoluti, siamo solo più ipocriti. Speriamo bene nel futuro, che a forza di sbagliare si migliori prima o poi.