La domenica del villaggio: India, Tabucchi, Tozzi (e 3 Ps)
Eccoci alla consueta rubrica cultural-domenicale del blog; fra un massacro in Ucraina e l’attesa per il primo turno delle fondamentali elezioni francesi (dalle 20 ne sapremo certo di più, ma il clou sarà ovviamente il ballottaggio fra quindici giorni), offriamo ai lettori tre argomenti molto diversi – come sempre, peraltro -, ma ci auguriamo stimolanti…
TABUCCHI, DIECI ANNI DOPO
Antonio Tabucchi ci ha lasciato il 25 marzo di dieci anni or sono; in tutta franchezza – e senza alcuna volontà polemica, domenica essendo – ci pare comunque di potere dire che il decennale sia stato ampiamente trascurato: non in Biblioteca comunale, però, ove martedì scorso lo abbiamo ricordato in modo originale – con un giornalista come Pino Di Blasio, non con un italianista -, come forse a Tabucchi sarebbe piaciuto.
Anche perché Tabucchi, in effetti, non è stato solo uno scrittore importante: è stato un polemista battagliero (antiberlusconiano convinto, ma senza farsi arruolare dal facile antiberlusconismo settario dei Novanta), uno insomma che, dopo avere scritto nei principali quotidiani italiani, collaborava al neonato Fatto, allora diretto da Antonio Padellaro; ha saputo essere un raffinato narratore di viaggi, in particolare con quel “Notturno indiano” (1984) che lo fece conoscere a tanti (ed un passaggio del quale – l’arrivo a Bombay – abbiamo scelto di leggere in Comunale); è stato il traduttore che ha fatto conoscere Pessoa – prima pressoché sconosciuto – in Italia; è stato apprezzato docente universitario in varie università, e per ben 15 anni in quella senese (1990-2005), periodo sul quale si è soffermato Di Blasio, che l’aveva a lungo intervistato nel 1994; è stato, infine, il grande promotore del Portogallo, della “sua” Lisbona, attraverso i suoi libri (“Sostiene Pereira”, ma non solo).
Nei Novanta, infatti, Lisbona grazie al combinato disposto dei suoi scritti, della musica dei Madredeus e del cinema wendersiano (“Lisbon story” è del 1995), diventò una meta frequentatissima del turismo – culturale ed in parte giovanile – italiano; era un tempo – pensate un po’ – nel quale le mete da visitare si decidevano anche così, sulla base della musica, della letteratura, del cinema. Come accade oggi, grazie agli influencer, però…
L’INDIA STA CAMBIANDO (IN PEGGIO)…
L’India sta cambiando, da almeno una decina di anni, ma l’Occidente – figuriamoci l’Italia – pare non essersene accorto più di tanto; d’altra parte, di India “si parla relativamente poco da noi, e pochissimo fuori dagli stereotipi” (come non citare la “patria dello yoga e della spiritualità”?), scrive opportunamente Tommaso Bobbio (Lettura del Corriere della sera, 3 aprile, pagg. 12-13).
Eppure, cose da dire ce ne sarebbero, ed anche serie per non aggiungere preoccupanti: le vittorie dell’ipernazionalista Narendra Modi – nel 2014 e nel 2019 -, con il suo Partito (BJP, Partito del popolo indiano), stanno infatti spazzando via, neanche tanto lentamente, le conquista multiculturali e laiche ispirate da Nehru e dal Partito del Congresso; le minoranze islamiche (in loco vessate assai) ed anche cristiane, vedono il loro futuro sempre più a rischio, e crediamo ci sia poco da esserne lieti. Il nazionalismo muscolare, sostenuto dalla religione maggioritaria, fa danno ovunque: in Russia, come in India.
In più, l’ambiguità sullo scacchiere geostrategico mondiale è evidente: da una parte, con l’alleanza firmata giusto l’anno scorso, ci si dichiara filoatlantici, in funzione anticinese, nel cruciale contesto dell’Indo-Pacifico; dall’altra, in questa crisi russo-ucraina, a livello di ONU e non solo, non ci si schioda dalla astensione, come la Cina stessa.
Aggiungendo che i migliori demografi ci dicono che, entro una generazione, gli Indiani supereranno in numero di abitanti gli stessi Cinesi, che dire? Speriamo che la più grande democrazia del mondo (nonché ovviamente potenza nucleare), pur traballante assai, resti più o meno tale, sia nei confronti dell’odiato Pakistan che verso il resto del mondo: problemini in giro, pare se ne vedano già a sufficienza…
LA MOSTRA SU FEDERIGO TOZZI
Non è certo cosa facile, il creare una mostra su uno scrittore (e non certo uno scrittore facile, va pur detto); si trattava dunque di una scommessa, da affrontare con tutti i rischi del caso, quella della mostra pensata per il centenario della morte dello scrittore senese (inaugurata ieri, con due anni di ritardo, a causa del Covid). A noi – che siamo faziosi perché facenti parte del Comitato ad hoc, ma che al contempo nessun ruolo operativo abbiamo avuto nell’allestimento della stessa – pare di potere dire che la scommessa sia stata vinta; come è sacrosanto che sia, ogni visitatore penserà con la sua testa: il tutto resterà al Santa Maria della Scala fino al 20 luglio prossimo.
Al suo interno, ovviamente, c’è il materiale che ci può essere per ogni scrittore, specie a cavallo fra Otto e Novecento (1883-1920, gli estremi tozziani); nel caso di specie, fra le altre cose, segnaliamo volentieri i registri della Biblioteca comunale, in cui – con le sue “tante letture alluvionali” di cui ha scritto il Sindaco De Mossi – Tozzi si è creato e forgiato culturalmente, come autentico autodidatta, desideroso di spaziare nei più disparati campi dello scibile del tempo, compresi quelli più, allora, innovativi.
Ma è chiaro che il piatto forte della Mostra – nonché il suo tratto più originale di ricerca -, è quello concernente il rapporto fra Tozzi ed il mondo dell’Arte – prima senese, vedasi l’amicizia con Patrizio Fracassi; poi, dal 1914, in quel di Roma -, con pittori e scultori; questo è ciò che è stato indagato dai tre curatori della mostra (l’italianista Riccardo Castellana, Michelina Simona Eremita e Luca Quattrocchi): il rapporto fra Letteratura e le incisioni, per esempio, è cosa fondamentale, per Tozzi così come era stato per altri – a partire da Manzoni – già nell’Ottocento.
Ne riparleremo, probabilmente; per intanto, chi voglia, vada, giacché gli spunti e gli stimoli interdisciplinari (Letteratura, Storia dell’Arte, Religione, Historia tout court) non mancano davvero.
Ps 1 Stamattina, con la consueta folta partecipazione di pubblico, si è svolta la prevista “Passeggiata nella Storia”, questa volta con tema la Siena del Fascismo; lo scrivente ha fatto la sua chiacchierata – citando doverosamente l’ultimo libro del buon Gabriele Maccianti, che offre un contributo notevole in tal senso -, e davanti al “dispensario” nel Fosso di Sant’Ansano (inaugurato nell’aprile del 1942) ha letto alcuni volantini di stampo prettamente fascista per la lotta antitubercolare: fra i vari, quello in cui si raccomandava il saluto romano per evitare il contagio. Non a caso, tema tornato di grande attualità in questi perigliosi tempi…
Ps 2 Martedì – ore 17,30, Sala storica della Biblioteca comunale -, dopo l’incontro su Tabucchi di cui sopra, si torna a discettare di importanti anniversari letterari: in questo caso, i 100 anni precisi dalla scomparsa di Giovanni Verga; del Verga e della sua attualità, dopo corposa introduzione dello scrivente-Presidente, relazionerà il succitato – per la mostra su Federigo Tozzi – professor Riccardo Castellana.
Ps 3 Sul “Venerdì” di Repubblica scrive, ogni settimana, la sua rubrica Tomaso Montanari (“Ora d’Arte”); a questo giro, c’è la cosiddetta “Pietra Soloveckij”, che dal 1990 troneggia in Piazza della Lubianka, in memoria dei dissidenti dell’era sovietica: scelta giusta, e quantomai opportuna.
Nel finale, però, Montanari cita una bella frase di Bobbio, abbinandola ai “potenti delle nostre “democrazie” (il virgolettato è suo, Ndr), che non hanno saputo prevenire la guerra e ora non sanno costruire la pace”. As usual, siamo alle solite: Putin è un gran birbantello, certo, ma gli Ucraini se la sono cercata, flirtando con gli yankees. Prendiamone atto…
Ho letto sui cosiddetti giornaloni che Micròn avrebbe fatto “il pieno di voti” al primo turno con il suo 27,85.
In effetti ha battuto di misura gli astenuti (26,31%) ed è inseguito abbastanza da vicino da Marine Le Pen col 23,15%, che va al ballottaggio, e pure da Jean Luc Mèlenchon con il suo 21,95, che invece resta la palo.
A ben vedere un risultato alquanto modesto in termini assoluti, praticamente schiacciato tra destra e sinista radicale.
Estinti i socialisti, che con la Hidalgo raggiungono un misero 1,74% ed in via di estinzione i gollisti con Valérie Pécresse al 4,79%.
Il 7,05% di Eric Zemmour all’estrema destra ed il 4,58% degli ecologisti di Yannick Jadot, completano un quadro sostanzialmente balcanizzato di una democrazia tutt’altro che in salute.
Probabilmente Minchiòn alla fine la spunterà ancora, chiamando ancora una volta a raccolta, in una crociata collettiva, tutta la cosiddetta società democratca, dagli antagonisti ai neogollisti (!), la sensazione, però, è che ormai prevalga sempre di più il voto contro e non più il voto per e quindi il candidato meno peggio.
O almeno quello che in quel momento sembra tale …
Molto, molto triste per la democrazia in generale.
Assai pericoloso per l’umanità intera in particolare.
Let’go Brandon!
La principale ragione della grande popolarità del premier indiano Modi non é solo il nazionalismo ed una politica economica che ha portato fuori dalla povertà 300 milioni di persone.
Il Plus di Modi é la sua origine e la conseguente rottura del familismo.
In India non era mai accaduto che il figlio di un venditore di tè, i venditori di tè appartengono a una delle caste di più basso rango, venisse prima eletto governatore del Gujarat e, successivamente, primo ministro. Incarichi questi sempre conquistati dai rampolli delle caste più elevate appartenenti alle grandi famiglie indiane, basti pensare ai Gandhi: madre,figlio,nuora,nipote…
Certo la questione del suprematismo hindu perorata dal partito del premier soffia sul fuoco, ero proprio in Gujarat nel 2020, ma spesso si é tradotta in provvedimenti in parte inattuabili. Poi ci sono gli scontri quotidiani tra hindu e musulmani, più o meno vanno avanti dai tempi della partizione tra India e Pakistan..
Caro Pino,
grazie davvero per la preziosa integrazione, da “reduce” del Gujarat: hai scritto del plus di Modi dal punto di vista dell’estrazione sociale (figlio di venditore di teini), aggiungendo un elemento importante e significativo; a me comunque – come in parte anche a te – questo suprematismo hindu non garba affatto…
Grazie anche all’avvocato Panzieri per il suo contributo, che offre diversi spunti; di certo, il più evidente è il clamoroso successo di Melenchon, con il suo elettorato – nonostante l’invito del leader a non votare per la Le Pen – che andrà in ordine sparso. In ogni caso, e con tutte le magagne connesse, W la France!
L’eretico
Sulle elezioni francesi, mi pare ci sia da sottolineare anche che i gollisti e ancora di più i socialisti siano spariti dall’agone elettorale. Non so se sia un bene o un male, di sicuro è una cosa storica!
Complimenti all’Eretico per l’ennesimo interessantissimo pezzo domenicale.
Mi associo a Uno di Strove: come al solito eccellente il pezzo domenicale!
Sono stata a vedere la Mostra su Tozzi, in effetti interessante sotto vari aspetti. Segnalo solo un fatto, che l’Eretico non ha sottolineato (anche perché immagino lui non abbia pagato): i 10 euro forse sono eccessivi, per una Mostra che in 30-45 minuti si visita. Gli Uffizi dovrebbero costare 80 euro, allora…
Caro Eretico, mi collego alla tua “collega pensionata”: la mostra è davvero interessante, specie per chi ama la pittura e la scultura di inizio Novecento (il divisionismo), e ci sono alcune reali chicche. Però 10 euro sono troppi: anche poco meno, per dare un segnale, andava messa.
Ma …. gli F35 comprati da Baffino … sono sempre negli hangar o li ha venduti ???
La fionda di David.
Il piccolo David, si sa, ha abbattuto il gigante Golia soltanto con la sua fionda.
Nessuno, però, nei secoli dei secoli, ha mai verificato il tipo di fionda e soprattutto il proiettile usato.
Apprendiamo, invece, che la fionda del piccolo Zelensky lancia missili Neptune e con un colpo fortunato ha affondato, dopo due scassoni di navi da sbarco dell’epoca sovietica, addirittura l’ammiraglia della flotta russa del Mar Nero l’incrociatore Moskva.
Un colpaccio, apparentemente.
Storicamente, infatti, la perdita di una “capital ship” infligge un colpo pesantissimo al nemico, al nostro gigante Golia del XXI secolo.
Tuttavia, scartando la notizia come fosse una caramella, scopriamo che questo magnifico incrociatore in realtà è stato varato nel 1983 e prima di ripingergli il nome a poppa in Moskva, si chiamava Slava.
Una gran nave … nel 1983, mai rimodernata, a ben vedere un altro relitto dei soviet.
Un affondamento, in realtà, pargonabile a quello dell’incrociatore argentino General Belgrano (già USS Phoenix varato nel 1938) durante la guerra delle Falklands il 2.5.82.
Vabbè direte voi, in ogni caso: slava ukraini!
Certamente, ma adesso viene fuori che su quell’avanzo di comunismo colato a picco nel Mar Nero probabilmente c’erano ordigni nucleari …
Quindi, ricapitolando abbiamo un girante Golia coi piedi d’argilla (i.e. residuati bellici), che si porta a giro armi nucleari con l’evidente riserva mentale di usarle, ed il piccolo David, che pur usufrendo di tutta l’itelligence possibile lo abbatte, forse mettendo a rischio un continente.
Siamo nelle mani di una manica di dementi, presunti nani o giganti che siano.
Diceva Ernesto Calindri in una vecchissima pubblicità: fermate il mondo voglio scendere.
Peace & Love.
Piccolo aggiornamento:
– ancora dubbia (per fortuna!) la presenza delle testate nucleari, certo che se anche ci fossero, comunque, i russi non celo confermerebbero mai … quindi speriamo bene!
– nella cappella di bordo (pensare che all’origine era un incrociatore bolscevico …) si trovava un frammento della vera (anche se trattandosi di reliquia almeno un “forse” magari ci vorrebbe …) Croce. Un miscredente potrebbe dire che gli ha portato bene.
Caro Paolo,
per intanto grazie dell’aggiornamento, prezioso per tutti.
Come ben sai, nella Grande guerra patriottica lanciata da Stalin per resistere ad Hitler – alla fine, con pieno successo, ma dopo averne buscate sode sode – il Baffone fece appello alla Chiesa ortodossa, dopo che da un ventennio le venivano bruciati o demoliti i luoghi di culto; la Historia in qualche modo si ripeterebbe – per l’alleanza fra il Glabro dagli occhi impenetrabili ed il dominus ortodosso -, se non fosse per lo scambio fra aggrediti ed aggressori…
L’eretico
Evidentemente i Russi hanno anche ripreso a portare le loro icone in battaglia, come facevano peraltro i Bizantini, dai quali pretendono di discendere ed ai quali si ispirano, in un misto di fede e superstizione.
La “vera” Croce, però, non pare abbia mai troppo bene …
Recuperata “miracolosamente” da Elena, madre di Costantino, una santa peraltro un tantino controversa, era custodita a Gerusalemme.
Nel 614 il Re Persiano Corsoe II espugnò Gerusalemme e se la portò via come trofeo a Ctesifonte.
Pareva che l’impero Bizantino fosse spacciato, ma in realtà fu quello Persiano a soccommbere sotto i colpi dell’imperatore Eraclio, il quale, al terimine di una delle più brillanti e vittoriose campagne sdella storia, nel 628 recuperò la reliquia e dopo i meritati trionfi a Costantinopoli, la riportò con tutti gli onori a Gerusalemme.
Le sorti di Eraclio e di Bisanzio, però, ebbero un brusco tracollo.
Gli Arabi, ormai musulmani, li sconfissero ignominiosamente sul fiume Yarmuk nel 636.
La “vera” Croce rimase a Gerusalemme, ma i crociati ebbero la malaugurata idea di portarsela a presso nella loro fallimentare spedizione , che culminò con la disfatta e l’umiliazione di Hattin nel 1187.
In quell’occasione la reliquia fu catturata – si presume – dall’asseritamente feroce Saladino, il quale non si sa cosa ne abbia poi fatto.
Magari il fuoco nel camino …
Sopravvivono, oltre a quello probabilmente finito in fondo al Mar Nero, vari altri pezzettini (uno mi pare pure a Pisa), tutti rigorosamente di legno d’ulivo adeguatamente certificati come originali, ma, a prescindere dalla loro autenticità, non saprei quanto efficaci per un uso strettamente apotropaico.