La domenica del villaggio: carestia, insonnia, Tavernier (e 3 Ps)
Appuntamento cultural-domenicale del blog, con i consueti due argomenti forti (la morte del regista Tavernier, un bel pezzo di Stella sulla tortura dell’insonnia), guarnito dalla rubrichetta manzoniana (Capitolo XVII, quest’oggi), e da tre Ps di ordinanza (con financo una critica al Presidente Mattarella, davvero in punta di piedi).
ADIEU A TAVERNIER, UOMO DI CINEMA
In settimana, ci ha lasciato (a 79 anni) Bertrand Tavernier; come definirlo, se non sic et simpliciter “uomo di cinema”? In effetti, Tavernier è stato regista, sceneggiatore, produttore, ma anche – udite udite! – addetto stampa di un certo Stanley Kubrik (scoperto post mortem, lo ammettiamo con candore); tra l’altro, fu molto amico di un bravo artigiano – ormai misconosciuto – del cinema italiano d’antan, Riccardo Freda.
Amava gli States, per tanti motivi, Tavernier: in primissimo, per il Jazz (per gli amanti del genere, si raccomanda “Round midnight”); vicino, ma non in modo ortodosso, alla Nouvelle vague, ha diretto pellicole davvero di ogni genere, dimostrando un eclettismo quasi mai andato a scapito della qualità registica.
Permetteteci di citare il suo esordio (correva l’anno 1974), con “L’orologiaio di Saint-Paul”, un film tutto girato nella sua Lione, con un Philippe Noiret avviato a divenire il suo attore-feticcio; ed anche – per chi scrive, soprattutto – un film a tratti discontinuo, ma che abbiamo molto amato, come “Colpo di spugna” (1981), sempre con il suo Noiret. In un’Africa occidentale francese coloniale ormai declinante (il film è ambientato nel 1938), un pigro commissario, denigrato da molti e tradito dalla moglie, inizia un percorso di redenzione molto particolare, e certo da non raccomandare: il gusto di uccidere, senza farsi scoprire.
Adieu a Tavernier, dunque, non molto dopo lo stesso Noiret: icone di una Francia che sapeva raccontare se stessa, a partire dai propri lati oscuri.
L’INSONNIA, TORTURA RAFFINATA
Si parla molto di insonnia e di problemi seri del sonno, a cagione del “maladetto virus” e dell’ansia che genera su molti (mai viste tante pubblicità di prodotti farmacologici che, oggi, non si possono più chiamare con il loro nome originario e qualificante, vale a dire sonniferi).
Ecco che, a proposito di insonnia, un gran bel pezzo di Gian Antonio Stella sul Corriere della sera di oggi (pagina 29) ci ricorda che la privazione del sonno è una raffinata, e sempre ben presente nel mondo, tortura (Navalny in Russia, svegliato otto volte a notte; lo studente Zaki in Egitto, che per “dormire” non ha neanche un letto, tante volte si abituasse troppo alle comodità); la quale tortura ha il vantaggio di non lasciare tracce visibili neanche al luminol: c’è sempre e solo la parole del detenuto-torturato contro quella dei suoi aguzzini, purtroppo. Solo la indefessa azione di Amnesty international (fondata nel 1961 dall’avvocato inglese Peter Benenson, insignita del Nobel per la Pace nel 1977), unita a quella di qualche isolato oppositore locale (nei vari regimi che si trovano in giro per il mondo), cerca di fare il possibile: rispetto dei diritti umani basilari, contro realpolitik. Vince quasi sempre la seconda, ma il tentativo resta nobilissimo lo stesso, anzi di più.
Stella giustamente scrive, nella sua digressione storica sul tema, che la tortura del sonno i regimi di tutti i colori l’hanno sempre usata: cita il Fascismo su Gramsci (“bisogna impedire per vent’anni a questo cervello di funzionare”, avrebbe detto il Pm che ne chiese la condanna); poi cita il Comunismo (“Arcipelago Gulag”), con Solzenitsyn : “L’insonnia è un gran bel mezzo di supplizio, non lascia alcun segno visibile e neppure un pretesto per lamentele, caso mai ci fosse un’ispezione, peraltro mai capitata…”; per approdare fino alla democrazia stars and stripes, la quale con la Cia (lo stesso Obama lo ammise) ha usato questa tortura tante e tante volte.
Gran brutta storia, insomma, comunque la si pensi: gran brutta storia; magari, chi ha problemi di sonno, invece di contare le pecorelle e prima di provare altro (quando ci vuole, ci vuole, per carità), provi a pensare a Navalny e a Zaki, se non riesce ad addormentarsi: potrebbe funzionare…
“PROMESSI SPOSI 4.0”, CAPITOLO XVII: IL GRANO “ERETICO”
Il Capitolo XVII dei “Promessi sposi” ha come protagonista assoluto il buon Renzo Tramaglino, che continua – vedasi il Capitolo pregresso, affrontato domenica scorsa – il suo viaggio pedibus calcantibus da Milano verso Bergamo (facente parte della Repubblica di Venezia, ove la Giustizia non è interessata a lui); nella prima parte, c’è il montanaro che affronta il bosco che lo porta dritto verso l’Adda – il confine naturale fra il territorio controllato da Milano e quello sotto la giurisdizione veneziana -, e in quel punto c’è una descrizione che avvicina il Manzoni ai grandi descrittori del rapporto fra Uomo e Natura (i Thoreau o i Rigoni Stern, fra gli altri). Il fiume che si ascolta, si sente, che ti entra dentro ancora prima di vederlo davanti ai propri occhi.
Nella seconda parte, dopo avere attraversato l’Adda grazie ad un pescatore (che vuole essere pagato, a questo giro, a differenza di altri barcaiuoli o barrocciai pregressi), Renzo approda a Bergamo, dal cugino Bortolo che lo accoglie e si dice più che disponibile ad aiutarlo; e qui si arriva ad un passaggio – ben poco conosciuto, ma anche per questo se ne parla in questa sede – di cogente attualità. Siamo infatti in piena carestia (che prepara al meglio i corpi alla peste), una carestia già squadernata dal Manzoni nel Capitolo IV (ricordate la “fanciulla scarna”, nonché la “vaccherella magra stecchita”?); la Repubblica veneziana – a palese differenza di Milano, con la mala gestio spagnola – che fa? Non esita a fare affluire, comprandolo, grano “eretico”, in quanto proveniente dalla Turchia: “grano che vien di Turchia – dice Bortolo – ma, quando si tratta di mangiare, la non si guarda tanto per il sottile”. Lanfranco Caretti ha scritto di “esempio di spregiudicata avvedutezza, in confronto all’insipienza dei governanti di Milano”.
Beh, alla carestia sovrapponete la pandemia, alla penuria di grano e pane quella delle fiale di vaccini, e fate i vostri conti: Bortolo, lui, sarebbe per acquistare lo Sputnik subito, senza stare tanto a pensarci su; il Governatore De Luca e Salvini come i dogi veneziani della prima metà del Seicento? Ai posteri l’ardua sentenza, è proprio il caso di concludere, nel più manzoniano dei modi…
Ps 1 Settimana piena di eventi ed interventi danteschi (su Dante e Siena, dopo il grande successo del video, torneremo ovviamente a scrivere); si rischia il Penale, se si dice che il Presidente Mattarella – nel lodevole intento di dire una parola istituzionale ed alta sul Sommo -, ha del tutto sbagliato aggettivazione? Dante coerente, infatti, è un autentico, palese, sfacciato ossimoro.
Ps 2 Notizia di venerdì: il professor Gozzini è stato sanzionato con tre mesi di sospensione dall’attività didattica e dallo stipendio; non entriamo in commenti, ed aggiungiamo solo che la sua reazione – sincera o meno, lo sa solo lui – è stata assolutamente da apprezzare: non solo ha ammesso l’errore (rara avis), ma lo ha anche lucidamente motivato (non si rendeva conto, dato il clima di familiarità della trasmissione, di essere in onda: ce ne eravamo resi conto tutti). Anche il caso del professor Vespa (Pasquale), chiamato dal leghista Sasso come consulente al Ministero dell’Istruzione nonostante le pesanti accuse (diffamazione e stalkeraggio) mossegli dalla ex Ministro Azzolina, è finito come doveva: con le dimissioni (o allontanamento che dir si voglia) del docente. Di cui non crediamo si sentirà una cogente mancanza.
Ps 3 “Glossite”: infiammazione della lingua, con ulcere, gonfiore e chiazze biancastre; il King’s College londinese l’ha classificata come sintomo del Covid-19 (Venerdì di Repubblica del 26 marzo, pagina 61); chi lo sapeva, alzi la mano! E ora, tutti a guardarsi la lingua allo specchio, eh…
Cari lettori, un curioso problema tecnico (mai successo prima, che mi ricordi) mi ha disattivato i commenti; si cerca di ripristinarli, vediamo un pochino…
L’eretico