Ve la do io l’America (III), e Conte bis…
In attesa di tornare nella Sienina in preda al pre-10 giugno (ed in attesa per l’appunto di scriverne, mercoledì prossimo per la precisione), lo scrivente si gode questi ultimi scampoli di NYC; e qualcosa faccio filtrare anche dal blog, as usual: eccoci dunque alla terza ed ultima puntata sulle impressioni, sugli scatti dedicati alla Grande mela ed agli States in generale.
Nel frattempo, vedo che il devoto delle false stimmate di Padre Pio è diventato, alla fine, Premier: staremo a vedere, essendo il nostro unico metodo e criterio di giudizio – come sempre – quello fattuale.
Ciò detto, let’s start con l’ultimo pezzo vergato a 6400 km di distanza: buona lettura a tutti, ordunque!
I DOG SITTER…
In molti film e serie tv li avete visti tutti, ma vi assicuro che vederli dal vivo fa pensare di più: sto parlando di questo relativamente nuovo mestiere – quello dei pet sitters, soprattutto dog sitters – che dalle parti di Park Avenue o della Fifth impazza, a NYC; ad oggi, il mio record personale è quello del “portatore a passeggio di cani altrui” con sei cani sei al seguito. Ma il top l’ho visto giovedì scorso, all’uscita dello straordinario Frick Museum (di cui scrivo sotto, e che subito raccomando): dog sitter, sotto la pioggerellina, abbinato a due cani, entrambi calzanti una sorta di scarpine (blu), per non sciupare le zampette, visto che c’erano le strade fradicie. Piena cinocrazia, per Zeus…
La creazione della figura del dog sitter, peraltro, è una tipica superfetazione capitalistica: il surplus del ricco genera soldi da distribuire agli esclusi dalla grande manna, soldi da offrire per garantire benessere alle bestioline dei potenti, che spesso sono pigri da morire o – nel più calvinista dei casi – lavorano troppo per trovare il tempo financo per far fare il giusto moto (stabilito da un personal-dog-trainer, si immagina) ai loro cani.
In ogni caso, una cosa conclusiva, sul rapporto fra cani e umani targato NYC, la si può dire: le regole ci sono anche per loro, e sono verosimilmente serie; un esempio su tutti: l’urina dei quadrupedi, argomento da noi tabù, è invece molto pragmaticamente affrontato in loco.
Wagner Park, quello (meraviglioso) sull’Oceano, con vista sulla Statua della Libertà da una parte, e sullo skyline di Lower Manhattan dall’altra: su tutte le curatissime aiuole è scritto che “dog urine damages plants”. Ecco una delle tante cose buone che potrebbero arrivare dagli States, e che restano purtroppo lettera morta…
DUE MUSEI: FRICK E BROOKLYN
Recensione di due musei che più diversi non potrebbero essere, se non per il fatto – che indubbiamente li accomuna – di essere molto meno conosciuti di come meriterebbero: il Frick, nel cuore di Manhattan, è all’interno di una splendida villa patrizia, fatta costruire agli inizi del Novecento dal magnate dell’acciaio e delle ferrovie cui si deve – insieme alla figlia – il museo stesso; il Brooklyn museum, nel cuore del borough più popolato della città (fino al 1898 città autonoma), è invece enorme, all’interno di una mastodontica costruzione neoclassica (nella parte esterna), dentro modernissima. Il primo (il Frick), è un esempio del mecenatismo illuminato di colui che, con Carnegie, negli ultimi anni del Novecento dominava il mercato del ferro e dell’acciaio (storia da autentico self made man), e che – accumulate ricchezze spropositate, e abbandonata Pittsburgh dopo feroci lotte contro i sindacati, lotte che erano sfociate perfino in una strage di operai – si trasferì a New York in piena Gilded age (l’età dorata della città, fra 1870 e 1910), per costruire questa villa-museo da lasciare ai posteri (oggi arricchita, fino al 16 agosto, dalla statua del Canova di George Washington, di solito esposta nella Capitale): e qui si trovano Tiziano, il Veronese, il celeberrimo ritratto di Tommaso Moro di Holbein, Velasquez, Rembrandt, Van Dick, più il meglio della pittura inglese fra Sette ed Ottocento (Constable, Turner, Gainsborough), et multa alia; con quattro, autentiche chicche di Arte senese: il bassorilievo del Vecchietta “The resurrection”, 1472, per la scultura; nonché tre ciliegine per la pittura: “Cristo che porta la croce”, di Barna da Siena, con un Cristo ritratto grande grande, ed un domenicano orante sullo sfondo, piccolo piccolo; il “Cristo sulla croce” di Simone Martini, 1340; e soprattutto, un davvero inquietante Duccio di Buoninsegna, dal titolo scorsesiano (“The temptation of Christ on the mountain”): Gesù che ricaccia indietro un diavolaccio tentatore, al cospetto di due angeli.
Che dire, invece, del ben poco conosciuto (dai turisti, non dagli autoctoni) Brooklyn museum, accanto alla enorme biblioteca, a Grand Army plaza (con il suo Arco di trionfo, in stile parigino, dedicato alla vittoria nella Guerra di Secessione), nonché al Prospect Park? Ci sono cose assai diverse, al suo interno, come provenienza e valore intrinseco: ottima, a sorpresa, la parte sull’antico Egitto, così come la ricostruzione delle abitazioni d’epoca locali, fra Seicento e Novecento, fino a quelle dell’upper society della città a fine Ottocento (suggestioni da “L’età della innocenza”, per citare sempre Martin Scorsese); ma la cosa più interessante (e criticabile) è che il succitato museo è una sorta di autentico tempio del politicamente corretto: lo si capisce subito, non appena entrati. Basta entrare ai bagni: ci sono quelli per i maschi, per le femmine e per gli “all gender” come terza possibilità; e che dire della polemica – che arriva fino al gift shop – con il Metropolitan museum, reo di avere in esposizione opere solo per il 4% di artiste donne, con il 76% di nudi, però, femminili (“bisogna essere nude, per approdare al Met?”, si chiedono al Brooklyn museum). Quando si dice degli eccessi del politically correct, eh…
LA GEOMETRICA POTENZA DI WALL STREET
Forse non c’è nessun altro posto degli States come Lower Manhattan (la parte più meridionale del più famoso burrough di NYC), sulla sponda West in particolare; in poche centinaia di metri, percorribili a piedi in un amen, si dispiega davanti agli occhi di chi qualcosa sappia, tutta la geometrica potenza targata USA, di coloro dei quali dal 1945 siamo una deferente ed obbediente colonia; con una curiosità, forse non casuale: dove si trova il bel Vietnam Memorial (con un ricordo anche del 14enne che falsificò la data di nascita per partire e morire in quella sporchissima guerra, stile libro Cuore)? Ebbene, si trova esattamente fra il grattacielo di JP Morgan e quello di Standard and Poors: potenza economico-finanziaria, abbinata a quella militare-imperiale, boots on the ground. Il tutto, nello spazio davvero di pochi metri: potrebbe esserci una concretissima metafora più azzeccata – mi si perdoni l’ossimoro – della potenza imperiale targata USA, in decadenza o meno che sia?
Ed in ogni caso, come sempre in questi casi: agli antiamericani da operetta buffa, un consiglio mi sento di darlo. Studiare, studiare, studiare: per non pensare che la Dottrina Monroe, sia stata il metodo della immortale Marylin per portarsi a letto ogni tipo di uomo…
LE OASI DI NEW YORK CITY
Quando si pensa, nell’immaginario comune, a New York City, l’italiano/europeo/uomo del mondo pensa allo skyline dei grattacieli: potrebbe forse essere altrimenti? Ma la città non potrebbe avere il fascino che ha, senza le sue oasi: è una realtà inquinata, forse più dal punto di vista acustico che da quello atmosferico; è una megalopoli in cui il disordine regna sovrano, ed è caratterizzata – come e più del resto degli States – dalle insopportabili escursioni termiche antropiche: sabato è stata una giornata calda, decisamente estiva, con caldo appiccicoso. L’entrare in un ristorante dopo avere camminato al sole, è devastante: perché, per Zeus, non abbassare, almeno un pochino, la altrimenti benemerita aria condizionata?
Detto questo, sono le oasi, la salvezza della città: i Parchi (il Central, certo, ma non solo, date retta: straordinario il Robert Wagner Park, continuazione del Battery, e non male il Prospect, a suo modo affascinante); oppure le Chiese, oasi di silenzio e spiritualità in mezzo al caos più totale. Prendete quella del Trinity (episcopale), in cima a Wall Street (l’edificio più alto della città, a metà Settecento): la trovate in mezzo ai grattacieli, che si erge sopra le umane porcherie della Borsa.
Ogni mercoledì, all’ora di pranzo, si organizzano corsi di respirazione lenta, per aiutare a ritrovare calma e serenità interiore: merce rara, oggidì. Di certo anche da queste parti, a quanto pare…
Ps Ero negli States anche e soprattutto per la laurea (più Master) della eretical figlia, Matilde (massimo dei voti: brava!). Mercoledì pomeriggio l’ho dunque passato al big event organizzato dalla sua Università (John Jay University), poi il venerdì giornata a Yale, addentrandomi nei sotterranei della biblioteca in cui studiò Bill Clinton: allora, nel curriculum vitae posso inserire – visto l’illustre precedente – che mi sono perfezionato alla John Jay e che ho studiato alla biblioteca di Yale, di grazia?
Virgilio ti definirebbe “terque quaterque beatus!”
Ti godi Matilde, più i musei di N.Y. tra cui la Frick Collection, e ti risparmi le prove di un palio alla -troppo- lunga….
PS “CURRICULUM…”
Credo che certamente potrà inserire nel curriculum, e vantare urbi te orbi, le “esperienze” universitarie e bibliotecarie appena vissute! Nell’ipotesi peggiore potrà garantirsi una wild card per il Consiglio dei Ministri..basta mettere il tutto in rete….
Lo so, lo so: ho scritto una banalità ma la battuta pungente del PS ereticale mi sembrava richiedesse di essere letta e sottolineata. Bravo Eretico…(e brava anche alla Figlia cui auguro di fermarsi negli States …qui rischia il reddito di cittadinanza!)
Caro Eretico, bentornato a Sienina, ora ti aspettano giorni, più che di Palio alla lunga come dice una tua lettrice di Palio dei ciuchi, sperando che nessuno si offenda (chiaro che i senesi hanno i candidati che si meritano).
Trovo gustosa la parte sull’urina dei cani, e mi fa piacere quello che si dice: in Italia è del tutto assodato che un cane (di un altro) venga a pisciarti per esempio sulla macchina, per non dire davanti a casa, come fosse la cosa più normale del mondo. Esistono soluzioni a questo problema? A me quando vedo un padrone che lascia pisciare il suo quadrupede sulla mia macchina viene l’orticaria!
Comunque grazie per questi tre articoli, che sono davvero un’eccellente prova delle tue capacità di descrivere anche zone lontane da Porta Camollia (a me particolarmente cara).
Adesso ne sono sicura,
Non voterò de MOSSI.
La ciliegina sulla torta è stata la ignobile strumentalizzazione z finì meramente politici contro le dichiarazioni del si davo di Reggio Emilia, un comportamento degno della più bassa classe politicante , che , mi auguro, fosse superata.
E dunque mi sorge u a domanda: se il sindaco fosse stato forzista o leghista, il super avvocato avrebbe fatto la sparata?
Conte fumoso (come il suo cv) ma d’altronde è stato messo lì come ragazza immagine