“Gli scheletri nell’armadio” (ed un Ps)
Riprende la rubrica culturale della domenica, in questa drammatica ricorrenza del 2 agosto: una strage, 85 morti che fanno ancora orrore, e sulla quale zone d’ombra continuano ad allignare (i mandanti?); noi, per oggi, riproponiamo un Capitolo (il III) del romanzo “Gli scheletri nell’armadio” (2010), preceduto da un breve riassunto del secondo.
Per concludere, un Ps su una straordinaria scoperta artistica…
Buona lettura!
“GLI SCHELETRI NELL’ARMADIO”, Capitolo II: sintesi
Nel secondo Capitolo del romanzo, si delinea meglio la figura del protagonista, Werner: nazista convinto, SS ad Auschwitz (dove ha visto morire, tra gli altri, Massimiliano Kolbe), si racconta della sua iniziazione alla violenza, in loco, nell’estate del 1941; poi si narra del suo passaggio, dopo il 1945, alla sua attività di allenatore di Atletica leggera (fondo e mezzofondo) nella DDR, fino poi all’approdo in terra di Toscana, a Fonterutoli in particolare.
La Toscana Felix, meta di tanti pezzi grossi della politica progressista tedesca, aveva incantato anche un ex SS, poi fedele di Honecker…
CAPITOLO III
Ogni giorno, ogni singola mattina, la “sua” Nadia gli doveva servire la prima colazione alle 7 e trenta precise, senza sgarrare neanche di un minuto; un’ora prima, la sveglia, seguita da qualche corroborante esercizio ginnico da camera, e poi una doccia: gelata d’estate, fredda in pieno inverno, come quelle cui era stato sottoposto ai tempi della Hitlerjugend da tredicenne, oppure quelle cui aveva sottoposto i suoi virgulti ai tempi della DDR.
“Inflessibili con se stessi, per essere implacabili con gli altri”: da buon SS, aveva interiorizzato, sulla sua carne, questo austero motto.
Nadia, invece, non aveva tutto questo desiderio di essere implacabile con gli altri, tantomeno di essere inflessibile con se stessa; era bella, questa bielorussa di 30 anni, nata nell’anno in cui il padre, quarantenne, si apprestava a partire per invadere l’Afghanistan.
Non fosse stato per gli occhi magnetici, non si sarebbe discostata di molto dal prototipo della bellezza russofona: alta, slanciata, le gambe affusolate, la pigmentazione chiara, un seno abbondante, bei fianchi, ulteriormente enfatizzati dal sapiente e ben dosato ancheggiare. I suoi occhi, però, avevano realmente qualcosa di particolare, e di particolarmente affascinante. Un magnetismo impossibile da descrivere per la “lingua mortal”, ma altrettanto impossibile da dimenticare, da colui le cui pupille si fossero imbattute in quelle di Nadia…
La giovane bielorussa non era affatto contenta di lavorare nella bella casa di Werner, ma il padre le aveva inculcato il senso del lavoro e del dovere: era un comunista, era un ex militare di carriera. Non poteva che essere così.
Nadia, quindi, doveva lavorare, era costretta ad avere un lavoro onesto e decoroso, socialmente spendibile e presentabile: il genitore non avrebbe non avrebbe tollerato altro. Se solo avesse saputo come era solita arrotondare (profumatamente) lo stipendio di Werner, Rinat sarebbe impazzito di dolore. Nessuno, però, aveva intenzione di farlo impazzire. Lei per primo.
Ma la curiosità di Nadia non si fermava al presente degli uomini, come si vedrà. Andava oltre. Pericolosamente oltre. E c’erano cose che Werner non poteva permettersi di fare conoscere a chicchessia.
Il suo inflessibile datore di lavoro conosceva un po’ il russo, e gli piaceva molto esercitarsi nell’uso delle lingue straniere, per tenere bene allenata la mente; da allenatore di atleti della DDR, aveva avuto rapporti di lavoro frequenti con colleghi sovietici. Con Nadia, però, non parlava mai russo: le distanze dovevano restare, inalterate ed inalterabili. La sua intelligenza, così spesso sollecitata dai più svariati stimoli, non doveva essere piegata a sforzarsi per una slava. Né, se la ragazza avesse per avventura imparato il tedesco, le avrebbe concesso di esercitarsi con lui: il suo rango di slava, di Untermensch – più ancora della sua subalternità sociale – la condannava a questo destino. L’italiano, dunque, era la giusta mediazione.
Quando c’erano le lucciole, quelle fantastiche lucciole, Werner era solo, con i suoi pensieri e le sue letture. Nadia, dopo avergli servito la sobria cena, di solito smontava verso le nove, per iniziare la sua seconda vita: studentessa-lavoratrice di Scienze politiche per il padre, ben altro per i pochi, ma fedeli, clienti, che era solita ricevere in un’anonima casa della periferia senese, nel quartiere di San Miniato; una zona che aveva subito trovato in qualche modo familiare, un ambiente che tanto le ricordava l’urbanistica da socialismo reale della sua infanzia. Grandi palazzi anonimi, grigiore cementizio. Un pezzo di Minsk o di Berlino est a una manciata di chilometri da una delle piazze più belle del mondo…
Ps Lo storico dell’Arte, e polemista, Tomaso Montanari ci informa di una grande scoperta artistica, a Torrita di Siena: nella Chiesa delle Sante Flora e Lucilla, è venuta fuori una lunetta marmorea di Donatello, pare strepitosamente bella.
“Forse un artista più grande di Donatello non ha mai camminato per le vie dell’Italia”, scrive su Repubblica di ieri Montanari.
Sul giudizio a proposito di Donatello, si può ovviamente eccepire; ma sul fatto di andare a Torrita a gustarci questo inatteso spettacolo, eccepire non è invece possibile.
E allora andiamo. Invece di andare all’Expo, manifestazione basata sul cibo e la sua genuinità sponsorizzata dalla Coca Cola (!), da Pepsi Cola (!!), da Mc Donald (!!!) e altre disinteressate multinazionali andiamo a curare la mente ed il cuore e magari anche il corpo andando a mangiare cibo genuino italiano a cominciare dalla bistecca chianina.
A me Gli scheletri nell’armadio è piaciuto molto, più di Mps Connection, per essere chiari. La figura del nazista è ricca di sfaccettature e colpi di scena, da quello che ricordo, mentre quella di Nadia è decisamente più convenzionale e prevedibile.
Quindi si parla di lucciole, e spunta fuori una prostituta dell’Est: che originalità, mai che le puttane siano italiche…
Gentile Eretico,
Ho letto delle sue ferie cadorine, immagino sui sentieri della grande guerra. Mi permetto di suggerirle una visita al museo delle nuvole, sul monte Rite. Se le nuvole si aprono, il panorama è indimenticabile.
stamani fotocopertina su La Nazione :
(testuale)
“l’idea di spostarsi in bicicletta è piaciuta molto. In quattro giorni 86 abbonamenti…”
PIACIUTA MOLTO ?????
86 ABBONAMENTI ??? STICAZZI !!!!!!
tutti ci s’ha da fare altro, moltissimi ci siamo troppo disinteressati delle faccende cittadine
e il risultato è questo : CI PIGLIANO PER IL DERETANO !
86 persone che adoprano stecazzodibiciclette…..uuuuuuuhhhhh il traffico sparirà !
ma vadano tutti a ripigliasselo, chi le pensa e chi gliele pubblicizza
E CHI L’HA RIVOTATI !
ma dai dai gli finisce, abbiano occhio perchè alla fine (SBAGLIATISSIMO, BENINTESO) la gente si incazza tutto insieme e qualche golino ci scappa