Torre Pellice: la Ginevra italiana
Bastano poche ore, per avere la conferma di essere in un luogo che ha qualcosa di straordinario, nel senso prettamente etimologico del termine: non per le bellezze naturali, che in altre zone montanare (le Dolomiti, ad esempio) sono certamente più capaci di lusingare il turista; non per le attrezzature turistiche, per quello che ho visto piuttosto obsolete e di livello non eccelso (anche se la sentieristica è ben segnalata, per esempio).
La Val Pellice è un unicum antropologico, e per questo merita una riflessione non banale. Terra dei Valdesi, i cristiani eretici per antonomasia, perseguitati per secoli dalla Chiesa e dai Savoia (fino a quel 17 febbraio 1848, quando Torino, con Carlo Alberto, concesse loro i pieni diritti civili); terra dei partigiani più liberi, capaci di resistere non solo ai nazifascisti, ma anche alle sirene dell’ideologia comunista: in queste valli infatti il nucleo duro della Resistenza era quello di Giustizia e Libertà (ne scriveremo domani).
Giovanni Giolitti – che da Dronero veniva – ci trascorreva le vacanze, a Torre Pellice e dintorni; Edmondo De Amicis – grande giornalista forse ancora più che scrittore – ci sostò a lungo, e la definì, in modo geniale, la “Ginevra italiana”, ovviamente per lo stretto legame fra valdesi e calvinisti (più che con i luterani).
La cittadina è una comune realtà di media montagna, con in più la caratteristica di contenere, al suo interno, un piccolo quartiere valdese, che inevitabilmente colpì il De Amicis: con luoghi di culto, di discussione (i due elementi si fondono, per i valdesi), foresteria e museo storico-etnografico(che raccomando).
La chiesa, qui si chiama “tempio”, e non ha – nella sua assoluta, iconoclastica sobrietà – nessuna immagine sacra: neanche il Cristo, pure ben presente, senza il corredo di Madonne e Santi, nelle chiese luterane. I valdesi non hanno feste, se non la domenica: non avendo Madonne e Santi, perché dovrebbero averne? Solo quel 17 febbraio, in onore di quel 1848, è una ricorrenza degna di cotal nome. Non credono affatto al Purgatorio, formidabile strumento di controllo sociale creato dalla cattolicità.
Dopo avere aderito al progetto riformatore luterano, per loro si spalancarono le porte dell’Inquisizione e non solo; verso metà ‘600, da qui furono costretti ad emigrare, causa autentiche persecuzioni (le tragiche “Pasque piemontesi”,1655), in Svizzera: altri ci vanno per portare danari sporchi, loro per portare la loro dignità.
Nel 1689 – giusto un secolo prima della Presa della Bastiglia, ed in piena sincronia con la Gloriosa Rivoluzione londinese – riuscirono a ritornare in queste valli, dalle quali più non si sono mossi. Questo è il cosiddetto “Glorioso ritorno” valdese, ed il 1689 rappresenta in qualche modo la data fondativa dell’epopea valdese.
Dal 1700 circa al 1848, a parte l’effimera parentesi della libertà napoleonica, i valdesi furono dai Savoia rinchiusi nel cosiddetto “Ghetto alpino”. Che stessero lì, buoni e tranquilli (ma non zitti!).
Proprio in questi giorni, è in corso di svolgimento un Sinodo importante, nobilitato addirittura dalle parole di incoraggiamento di Papa Francesco: cosa che certamente fa rabbrividire qualche integralista catto-vandeano, ma fa intravedere come l’apertura dell’attuale Pontefice sia del tutto coerente con l’ecumenismo valdese. D’altra parte, il lionese Valdo aveva fatto, nel XII secolo, la stessa scelta di Francesco: da ricco mercante, a povero fra i poveri. Imitatio Christi, secondo i dettami evangelici.
La Chiesa incanalò saggiamente – come sappiamo – l’umbro, mentre considerò da subito eretico il francese, nobilmente incapace di mediare con la Chiesa corrotta del tempo, a differenza di Francesco.
Per i valdesi, la centralità della conoscenza è davvero tale: vicino al mio albergo (a Villar Pellice), ci sono case sparse, con pecore, fienili, legna accatastate per l’inverno. Si cammina ancora un po’, e si arriva ad una “scuola rurale”: casa fra le case, perfetta per ribadire la centralità della cultura e del dibattito democratico all’interno della comunità, e con l’esterno.
Sulla parete di un tempio di Torre Pellice (“Casa di tutti”), nella cittadina denominata la Ginevra italiana, troviamo due scritte, degne di essere menzionate e, soprattutto, meditate con attenzione: due frasi che tutto ci dicono di cosa significhi essere valdese.
“Le pecore talora si smarriscono perché brucano l’erba senza mai alzare gli occhi”.
Terra (anche) di pastori, dunque frase di grande saggezza. La seconda, se possibile, la troviamo davvero straordinariamente calzante:
“Se non avete mai detto qualcosa che dispiaccia a qualcuno è segno che non avete sempre detto la verità”.
Parafrasando Croce, non possiamo non dirci valdesi…
Un articolo che avrebbero potuto recare il titolo “Lux lucet in tenebris”.
Plaudo!
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Kirilux evidentemente lo sa bene, ma lo dico agli altri: “Lux lucet in tenebris” è una frase cardine, per i valdesi.
Ne approfitto per rettificare il complimento fatto nell’articolo sulla sentieristica della Val Pellice: giusto stamattina, dopo essere salito dai 670 metri del cimitero della cittadina piemontese a più di 1200, sono arrivato ad un bivio cruciale. In cui però non c’era NESSUNA INDICAZIONE, per cui sono andato avanti alla cieca per un’altra mezz’ora, per poi tornarmene indietro, senza avere trovato il rifugio che cercavo…
L’eretico
Toccante la conversione alla Porta di Torre Pelice, la Ginevra Italiana! Dato che Ginevra “era” detta la “nouvelle Jérusalem” (ora ci sono solo banche) per la proprietà transitiva avremmo trovato finalmente la “Gerusalemme italiota “in una valle piemontese. Peccato che il Saulo senese ignori che nella mitica Ginevra il buon Calvino ,il papa riformato, fece bruciare nel 1553(quindi poco dopo la presa del potere caratterizzata da una furia iconoclasta e dalla totale intolleranza per gli altro-credenti) un “eretico dal nome di Michel Servet. Non tutto ciò che è o è stato anticattolico è “buono”…a proposito di “lux ” e tenebre varie!
Ringraziando Adriano Fontani per il suo prezioso e condivisibile intervento (non ne sapevo niente, ma immaginavo una sua simpatia per il Verbo valdese), rispondo a Paolo Fioravanti: che ha ragione da vendere, dicendo che “non tutto ciò che è anticattolico è buono”. Io, infatti, non l’ho mai pensato, detto o scritto: sfido chiunque a provarlo!
Ma l’accostamento fra i valdesi (dal XII in avanti, SEMPRE perseguitati, quando con maggiore o minore veemenza) e Calvino non regge proprio: ci sono vicinanze a livello liturgico ed altro, non certo sulla tolleranza verso gli altri…
Tra parentesi: non c’è stata alcuna “conversione alla Porta di Torre Pellice” (che sarebbe stata comunque da rispettare, no?), ma solo grande attenzione, curiosità, interesse e – quella proprio sì – AMMIRAZIONE verso il mondo valdese e la sua drammatica vicenda.
L’eretico
Complimentissimi, Raffaele.
Conosco ed ammiro da 40 anni la splendida storia di Valdo, dei poveri di Lione e delle Valli Valdesi.
Se la storia d’Italia fosse stata plasmata dai valori di Vangelo, Liberta’ e Democrazia delle Valli Valdesi invece che da quelli dell’italietta vatican-papalino-romana saremmo ai livelli di civilta’ dei paesi scandinavi invece che a quelli sud americani.
Bravissimo. Diffondi il verbo e la storia Valdese.
M.o Adriano Fontani
Quando si comincia a fare analisi storiche con i “se” vuol dire che siamo proprio arrivati alla frutta. Nello stesso modo con i “se ” avrei potuto dire che se i Valdesi avessero preso il potere come Calvino a Ginevra si sarebbero comportati nello stesso modo. Non sarà mica che sono stati tolleranti ,perché erano tre gatti?.
È tuttavia interessante trovare la conferma che i laicisti italici hanno una grossa difficolta ad avere un approccio laico quando si tratta della Chiesa cattolica. Si avvitano su recriminazioni relative alla non fedeltà della Chiesa all’Evangelo(i protestanti dicono così) , rimproverandola di non essere cristiana. Ma cosa gliene importa al buon laico se la chiesa è fedele o no ad una “storiella inventata”? Per il buon laico la Chiesa non può che essere un’organizzazione mondana come i partiti ,le massonerie, le confindustrie, le” Coca Cole” ecc.ecc. di tutto il mondo. Il buon laico dovrà pur riconoscere che questo Ditta ha ed ha avuto (a differenza dai Valdesi) un buon marketing , ciò può fargli dispiacere ,ma in ogni caso non è obbligato a comprare e dovrebbe finirla li. Invece tanti buoni laicisti non perdono ogni piccola occasione(sembra un tic nervoso) per fare la morale alla Chiesa con la solita ribollita di fine ottocento. Che ci sia anche un catechismo laicista segreto e mai pubblicato?!
Ad un buon laico dovrebbe importare che la Chiesa non interferisca con lo Stato e che, a dio piacendo, non gli succhi soldi, visto che ne ha già in abbondanza di suo.
I maggiori avvitamenti sono quelli prodotti dalla Chiesa stessa che in 2000 anni non poteva certo rimanere del tutto fedele a se stessa.
Non poteva mancare un’ulteriore riscaldatina della ribollita ottocentesca del laicista in servizio attivo permanente. Ripeto che per un vero laico la chiesa (te la scrivo con la minuscola così ti faccio felice) dovrebbe essere considerata, “laicamente”, come un ente ,un’organizzazione ,una SpA come un’altra senza richiederle, laicamente, compiti straordinari e impegni morali sovrumani. Se l ‘organizzazione “chiesa” interferisce con lo stato e cerca di succhiare i soldi dei poveri contribuenti che cosa fa di diverso da altre organizzazioni che non incorrono negli strali dei moralisti laici? Che cosa ha fatto per secoli la massoneria ,che cosa hanno fatto e fanno i sindacati, i RotaryClubs, le Confindustrie varie i partiti più o meno democratici, i giornalisti organizzati , le associazione di magistrati ,insomma le centinaia di lobbies di ogni tipo che interagiscono in ogni società umana? Cercano di interferire con lo stato e ottenere vantaggi economici per i loro adepti . Caro laico se vuoi continuare a fare la tua ottocentesca crociata contro la lobby vaticana ed i suoi milioni di azionisti falla allora contro tutte le lobbies, magari anche contro quella di cui fai (inconsciamente?) parte.