“I Promessi sposi” 2.0: Donna Prassede
Leggendo il capolavoro manzoniano, alzi la mano chi non ha avuto qualche gesto (o gestaccio!) di stizza verso la antipatica, impicciona e pesante figura di Donna Prassede?
Il Manzoni ha creato una figura che è appunto un concentrato di antipatia allo stato puro: rigida ma senza umana pietà, esigente pur senza autentica carità cristiana. Verrebbe da definire la moglie (certo non felice) di Don Ferrante come una sorta di “Crocerossina h.24”, con il suo afflato buonista che alla fine (anche prima…) risulta insopportabile. Mal digeribile ad un pubblico della prima metà del XIX secolo, figuriamoci oggi, in un’epoca di ipersecolarizzazione.
Donna Prassede – donna di alto lignaggio sociale – ha 5 figlie, ci dice il Manzoni: due sono maritate, ben tre monache (sulla libertà della scelta, niente viene detto). Con il sarcasmo con cui la tratta dall’inizio alla fine, l’autore scrive dunque che la donna “si trovava naturalmente aver tre monasteri, e due case a cui soprintendere”. Le famose “cinque guerre” che Donna Prassede era solita portare avanti, giorno dopo giorno, fronte dopo fronte.
Solo il marito le teneva, almeno a suo modo, testa: su Don Ferrante, a questo proposito, scrive Manzoni “che, in tutte le cose di casa, la signora moglie fosse la padrona, alla buon’ora; ma lui servo, no”.
Possiamo arguire, senza grande sforzo di fantasia, che i due fossero di fatto separati in casa: lui perennemente a studiare nella sua per l’epoca fornitissima biblioteca (circa 300 volumi, molti dei quali dedicati alla “scienza” cavalleresca), con quella erudizione tanto vilipesa dall’autore; lei, invece, in giro a fare del Bene a destra e manca, ed a signoreggiare con la servitù in casa.
Donna Prassede, dunque, come emblema del politicamente corretto del tempo, del fare del Bene palesandolo a tutti (in antitesi a figure in cui il Manzoni concretizza antropologicamente il miglior cattolicesimo lombardo, quale quella del sarto); non a caso, Marco Travaglio nel marzo scorso paragonò la Presidente della Camera Laura Boldrini proprio al nostro personaggio manzoniano: con felice intuizione, pur nella evidente forzatura data dai così diversi contesti e dalle differenti formazioni cutural-religiose delle due donne.
Donna Prassede quindi antipatica, maxime nel colloquio con Lucia, in cui la vuole convincere in tutti i modi che il povero Renzo è un disgraziato violento. Impicciona, tremendamente impicciona e financo maldicente, questa Donna Prassede!
Ciò detto, resta il mistero (che davvero tale è) dell’atteggiamento così implacabilmente duro e sferzante del Manzoni verso di lei, che non è certo il personaggio eticamente più condannabile del romanzo.
Donna Prassede è chiamata “vecchia” (Capitolo XXVII), durante il dialogo con Lucia; ma soprattutto colpisce la freddezza assoluta cui Manzoni la condanna al momento della morte per peste (alla pari del marito, sul quale però – pur condannandone la cultura arcaica e dogmatica -, si sofferma con un minimo di pietas, al momento della morte):
“Di Donna Prassede quando si dice che era morta, è detto tutto” (Capitolo XXXVII).
Una assoluta mancanza di pietas, dunque: mancanza di pietà che non raggiunge queste vette neanche per la Monaca di Monza (“sventurata”), o per una figura indifendibile come Don Rodrigo, il quale è riscattato in qualche modo dal tradimento subìto e, more catholico, dal dolore arrecatogli dalla peste.
Perché in definitiva questo accanimento manzoniano verso Donna Prassede? Perché l’autore la tratta come nessun altro personaggio del romanzo? La risposta non può che essere aperta. Non è solo l’Alighieri ad essersi portato nella tomba tanti segreti…
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Ps Sono dieci anni che ci ha lasciato il grande giornalista e viaggiatore fiorentino Tiziano Terzani. Consiglio vivamente “Un’idea di destino” (Longanesi, curato da Alen Loreti con prefazione di Angela Terzani).
Per anni, senza averlo approfondito, lo consideravo un intellettuale certo di valore, ma anche pronto a compiacere certe mode o vezzi orientaleggianti dell’intellighentsia italiana.
Mi sono ricreduto, approfondendo alcune sue tematiche. Ed aveva, Terzani, una gran qualità: l’onestà intellettuale di ammettere di avere sbagliato. Sulla Cina maoista, per esempio: ci arrivò con un giudizio positivo, poi ne fu espulso. Un’espulsione da usare a guisa di trofeo…
Il marito ha capito come si trattano certe consorti, semplicemente ignorandole.
Il manzoni vive in tempi eccezzionali ed ama certi cambiamanti, se non era massone era molto vicino, lo si vede ne 5 maggio. Dove esalta un uomo che ha unificato i popoli, non con chiacchere ma con cose concrete esempio i pesi e le misure. Ed esalta un dio non cristiano ma il grande architetto dell’universo che accompagna Napoleone.
In donna Prassede odia la fede che ha nelle leggi e in base a quelle leggi giudica. Ma i suoi giudizi sono odiosi, specie su Renzo, che per sentito dire era un bandito. Donna prassede si sente la portatrice della verita’. Lontana dal metodo scentifico che si approssima alla verita’ per gradi. Personaggio che è il contrario di Napoleone.
i Promessi Sposi hanno avuto diverse stesure (la prima si chiamava “Fermo e Lucia”…..) per capire la genesi e l’evoluzione dei personaggi bisogna confrontare le diverse stesure….(si chiama critica filologica, supportata dall’analisi testuale, non da personalismi e fantasie del lettore…)
Ringrazio “La Musa” della precisazione, peraltro piuttosto nota a molti.
Come già scritto in un precedente intervento, ovviamente tutto ciò che viene commentato in questo blog a proposito del capolavoro manzoniano concerne l’edizione del 1840-1842, quella finale.
L’eretico
Nel testo Fermo e Lucia il Manzoni si rende conto che non è troppo adatto ai tempi, quindi è del tutto inutile il confronto. L’ uomo è maturato da altre espernze e può finalmente mettere fra le righe un pensiero superiore non visibile certamente a livello scolastico.
Se non avesse voluto questo avrebbe lasciati il testo originale….no.!!!
giusto per curiosita’ , nel Fermo e Lucia viene detto che Donna Prassede, una volta scoppiata la pestilenza, “non penso’ piu’ a regolare il prossimo, ma soltanto a tenerselo lontano, tanto che non gli comunicasse la pestilenza”,,,,,e quando il marito si ammalo’ si ritiro’ nella stanza piu’ remota della casa senza prestargli la minima assistenza….nell’edizione definitiva c’e’ meno acredine verso di lei, mentre viene portata in primo piano la figura del marito astrologo….
…..naturalmente marco T. non si riferiva alla Prassede del Fermo e Lucia
L’altro personaggio trattato come donna Prassede è il conte Attilio. Due manichini senza anima. Per loro non può esserci pietas.
Il conte Attilio, prende in giro il cugino il cugino per la scommessa sulla popolana, che non riesce a realizzare. Cosa inconcepibile per un nobile anche se di campagna.
Dovrebbe averci la fila di certe donne al suo servizio. Quindi di don Rodrigo non gli importa nulla. Quello che invece da noia ad Attilio è Cristoforo. Il frate ha il coraggio dei due grandi l’innominato e Federico, ma…
ma non ha le armi dei due. Ecco che comincia l’odio, dato dall’amirazione del coraggio, ma senza armi e solo un saio. Come si permette costui?
Qui il Manzoni è chiaro se uno non ha la forza deve stare zitto altrimenti soccombe….