“I Promessi sposi” 2.0: l’Innominato
Inizia oggi la rubrica domenicale che ci accompagnerà per tutta l’estate: un tentativo – spero quantomeno stimolante – di rilettura dei personaggi principali del capolavoro manzoniano alla luce dell’oggi. Un’attualizzazione dei vari personaggi, dunque: sempre tenendo conto che quando Manzoni scrisse il romanzo (dal “Fermo e Lucia” all’ultima edizione, sono trascorsi circa 20 anni!), lui ambientava il plot in uno spazio temporale di ben due secoli addietro.
L’Innominato è una delle figure chiave dei Promessi sposi: fra i personaggi principali, è colui che entra in scena più tardi, forse proprio per farne risaltare la grandezza (don Rodrigo, invece, entra sulla scena da subito: casualità assoluta?); nel “Fermo e Lucia”, l’Innominato era il Conte del sagrato, e la scelta dell’autore di chiamarlo come è passato alla storia della letteratura è anch’essa verosimilmente frutto della volontà di rendere più terribile la figura, al solo nominarla.
L’Innominato è il secondo, grande convertito del romanzo: il primo essendo frate Cristoforo. Ma una differenza c’è: Lodovico diventa frate (cappuccino, per la precisione) dopo un fatto di una violenza, per lui, inusitata; l’Innominato al contrario si converte (senza prendere voti, ma divenendo una sorta di missionario del Bene nel suo castello) dopo un’azione certo turpe, ma riconducibile potremmo dire alla sua ordinaria amministrazione delinquenziale. E nessuno – senza alcunché togliere alla grandezza del cappuccino – sarebbe andato a cercare l’Innominato, dopo il rapimento di Lucia.
Centralissima per tutti i lettori ed i critici è la descrizione della notte durante la quale l’Innominato si converte (al cattolicesimo, ovviamente…): siamo nel Capitolo XXI, dunque a poco più della metà del romanzo.
A lungo si è discusso di quelle, comunque mirabili, pagine: la grande maggioranza della critica esalta questo Capitolo, considerandolo uno dei punti più alti dell’opera; c’è però la eccezione di Alberto Moravia, sulla quale non si può sorvolare, data la caratura della figura, anche come critico letterario.
Moravia è di una durezza critica dirompente, nei confronti dell’episodio:
“La conversione dell’Innominato, invece, è, a parer nostro, il punto debole di tutto il romanzo, tanto più debole in quanto…avrebbe dovuto essere il punto forte…la lettura dell’episodio dell’Innominato non ci fa né caldo, né freddo… Personaggio senza volto, esso passa da una malvagità generica a una santità didascalica”.
In buona sostanza, lo scrittore romano imputa al Manzoni di volere dare al lettore un carattere edificante e didascalico all’importantissimo episodio, “senza un solo momento di autenticità”; Manzoni è paragonato ad uno scrittore del realismo socialista, ovviamente in campo cattolico (l’Arte come propaganda, per una Chiesa o per un’altra).
Senz’altro più che stimolante, questa presa di posizione, e certamente originalissima: ma in effetti eccessiva ed ingenerosa. Fare di Manzoni una sorta di “Zdanov ottocentesco” è davvero troppo: non fosse altro che per il fatto che il capolavoro manzoniano fu preso duramente di mira (si leggano le opere di Aldo Spranzi, a tal proposito) anche da settori ecclesiastici (don Bosco su tutti), appena pubblicato. Soprattutto per averci dato due figure (la Monaca di Monza e, in misura financo maggiore, don Abbondio) che veicolavano un’immagine più che negativa dell’istituzione ecclesiastica.
Nel 2014, sarebbe forse più fruttifero dire che l’Innominato manzoniano è una figura del tutto antitetica a quella di un qualsiasi potente italiano di oggi (a circa 4 secoli dall’ambientazione del romanzo, dunque). Si è sempre detto che “I Promessi sposi” ci offrono personaggi antropologicamente ben presenti, ancora oggi, nell’attualità: ebbene l’Innominato sdirazza in toto, rispetto a questo assunto!
L’Italia è un paese di ladroni che non si assumono mai la loro responsabilità, perinde ac cadaver, figuriamoci se si accostano in modo genuino (dopo avere seriamente pensato al suicidio) alla fede.
Anche l’Innominato, durante la sua notte, divenuto il “tormentato esaminator di se stesso”, fa i suoi calcoli: ma li fa con la sua coscienza, con la prospettiva del post mortem(“E se c’è quest’altra vita…!”).
Il potente di oggi, piuttosto che al rapporto con l’aldilà, si interroga sui cavilli legislativi ipergarantisti dell’aldiquà.
Non siamo rimasti fermi al Seicento manzoniano: per alcuni versi, siamo decisamente regrediti.
E l’hastag della risalita sembra – anzi è – decisamente lontano…
Caro Eretico
Il Manzoni mashera un po i suoi personaggi, per non esporli troppo alla critica ecclesiele. Intantanto il Manzoni se non era massone era molto vicino alle correnti diallora. Ma torniamo all’Innominato, non credo che si sia convertito, ma il vero rimorso sta nel gesto che ha compiuto, uno come lui aver rapito una popolana per il capriccio di un signorotto viziato, uno come lui, abbassarsi al livello della Monaca di Monza, uno come lui che non aveva nessun obbligo per nessuno, uno come lui che non aveva paura dei lanzichenecchi che provenienti dal Bodensee,
risalita la valle del Reno scesero dalla Val di Sassina. Vede pero’ nel cardinal
Federico una persona religiosa non vile, come il princiale dei Cappuccini. Il cardinale e’ un umo che non ha paura, lo fa perche’ crede nella sua opera. I due uomini
sono vicini, anzi sono uguali, ecco perché si incontrano. Questo è il messaggio.
Ottima ed interessante analisi. Mi viene spontaneo pensare a chi potrebbe essere il prossimo “grande convertito”. Mussari? Mancini, Minucci? Cecuzzi? Vigni? Oppure i comprimari, ma sempre gravati da grandi responsabilità, come i vari Mezzaroma, Ricci, i tanti collaboratori infedeli, i superpagati (anche attualmente) amministratori della Fondazione, i rettori che hanno svuotato le casse dell’Università, i mille beneficiati (direttamente o indirettamente)del PD, gli amministratori comunali che continuano a scannarsi solo per un pò di potere e che non si vergognano di nulla?
Eretico, potresti indire un totalizzatore. Ci sarà anche a Siena un “grande convertito”? Ed in caso di risposta affermativa, chi sarà il primo?
Caro Barbicone 72,
penso proprio che la fila NON ci sia e non ci sarà mai (spero di sbagliarmi): questi non ammettono neanche l’evidenza fattuale, figuriamoci se si convertono.
A dirla tutta, poi, ti aggiungo che convertirsi di fronte ad una Chiesa tipo quella senesota…l’Innominato trova il Cardinal Federigo Borromeo, qui chi troverebbero?
Nel caso, ci vorrebbe una conversione in trasferta!
L’eretico
Chi troverebbe, caro Eretico, probabilmente una società per azioni, meglio un’ immobiliare con tanto di cosiglieri d’amministrazione e Ad. Proprio l’altra domenica il parroco ci ha annunciato della chiusura, avvenuta il giorno prima, del Seminario di Montarioso e del trasferimento degli otto seminaristi residui in altro seminario. La domanda adesso è: che fine farà quella non piccola struttura? Sarà destinata dal presidente del cda curiale ad ospitare poveri e sfrattati (ci sono anche a siena, ah se ci sono) oppure…sarà CONVERTITA in ben altro e più redditizio? Credo che siano queste le uniche CONVERSIONI che ti puoi aspettare dalla chiesa senesota
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Scusami Eretico
Intendevo dire il provinciale dei Cappucini, che oltre essere un vile è anche spregevole, vende un suo inferiore. Mentre il conte zio è obbligato nella parte, che in cuor suo non vorrebbe fare, sa di avere un parente che non vorrebbe avere, ma i parenti non si scelgono mica. Lo fa per obbligo di casta e di conseguenza lo considero un personaggio di buona statura, sarebbe oggi un gran ministro degli esteri.
Caro Eretico
Scusami di nuovo, ma con tanta universita’ che c’e e poi così antica, ci sono così pochi intellettuali disposti ad entrare nell’agone di personaggi che rappresentano la vita reale…lasciamo perdere, tanto io posso stare a Lugano, altro mondo. Però una cosa vorrei da tutti quelli che parlano di democrazia , per vedere il loro poter stare in politica. Vorrei che mi spiegassero il De Monarchia…se lo sanno bene, sennò fuori.