Zibaldone: un lupo-agnello a Wall street
In una settimana che ha visto andarsene due figure importanti e significative del cinema italiano (il regista Carlo Mazzacurati ed il grande autore di colonne sonore Riz Ortolani), come non parlare del film che sta spopolando, l’ultimo del maestro Martin Scorsese?
Il film ha non pochi punti in comune, all’interno della filmografia scorsesiana, con “Casino” e con “Goodfellas” (“Quei bravi ragazzi”): in fin dei conti, il cerchio magico costruito attorno a sé dall’arrampicatore sociale Jordan Belfort, non è forse composto da “bravi ragazzi”? Dopo l’attenzionamento della Consob Usa (eluso furbescamente), si arriva all’Fbi, non a caso. Fino al carcere, preceduto da collaborazione per smascherare i collaboratori: fine del sogno da “Paradiso in terra”. Oppure no, visto che il Belfort sta riscuotendo un certo successo come “motivatore”, girando il mondo come conferenziere (anche per rifondere le sue vittime con i proventi delle conferenze: sarà così?).
Film tecnicamente magnifico, suntuoso, strabiliante e ridondante: immagini rallentate, accelerazioni (senza superare la dose omeopatica), zoomate da antologia. La quintessenza della perfezione scorsesiana: Thelma Schoonmaker al montaggio è davvero una garanzia, in tal senso. Di Caprio strepitoso (suo miglior film, direi), più un Matthew Mc Conaughey (nella parte di un senior broker della Rotschild) indimenticabile, con il suo sermone iniziatico, nel ristorante di lusso, sul come comportarsi a Wall Street ( in sintesi: autoerotismo due volte al dì, più cocaina ad abundantiam).
Il problema di fondo del film – come messo in evidenza lucidamente da Paolo Mereghetti e da altri critici – è questo: guardando il film di Scorsese, non si rischia di essere indotti ad apprezzare, invece che a condannare, la figura e l’operato dello spregiudicato Belfort? Gli eccessi, gli stravizi del personaggio (sesso e droga, più umiliazioni gratuite) interpretato da Di Caprio, sono visti con benevolo ammiccamento, con pericolosamente sottesa l’idea che da sostanze devastanti come il Quaalude – antidepressivo con fortissimi effetti collaterali – si possa entrare ed uscire con relativa facilità.
Lungi, più che lungi da noi l’idea di un cinema moralistico-pedagogistico da parrocchia (ci mancherebbe!), ma la “sottile linea rossa” tra il facile moralismo e l’esaltazione del vizio, va (andrebbe) sempre tenuta presente. Non c’è bisogno di sottolineare quanto il cinema possa agire sulle menti: da Goebbels in poi, lo hanno capito in molti.
Una postilla personale. Da scorsesiano incallito (malato?), l’eretico ha visto due volte consecutive il film (ebbene sì, sei ore di grande cinema, una dopo l’altra!), ed ha potuto, a proposito di ciò di cui sopra, notare un qualcosa di davvero curioso, per non dire di allarmante; la reazione del pubblico davanti alla scena – durissima – degli effetti paralizzanti del Quaalude su Di Caprio: allo spettacolo del pomeriggio, con pubblico in prevalenza dagli anta in su, la straziante scena non provocava nessuna risata; allo spettacolo successivo, con forte presenza di giovani, durante la stessa scena, le risate invece abbondavano. Ci possono essere tante spiegazioni, in merito: purtroppo nessuna positiva…
Nonostante il maestro Scorsese abbia origini italiche, non pensiamo conosca a fondo l’opera del Manzoni; per questo film, se avesse letto il carme “In morte di Carlo Imbonati”, forse le parole del ventenne (!) Manzoni gli avrebbero fatto bene:
“né proferir mai verbo, che plauda al vizio, o la virtù derida”.
Se si fa vedere, per tre ore di grandissimo cinema, la storia di un abile truffatore e dei suo “bravi ragazzi”, magari cinque minuti per mostrare le storie o le facce dei truffati si potevano (dovevano) pur trovare…
Ps Domani, in occasione della Giornata della Memoria, ci sarà un pezzo sull’argomento.
Ancora non ho visto il film del Maestro Scorsese, ma ho letto il libro autobiografico dove, come ben si capirà, di autoindulgenza ce ne è a bizzeffe; in sostanza Belfort oltre ad autoassolversi moralmente si sente un campione di “equitazione” del sistema finanza, gli altri in confronto a lui hanno due-tre marce in meno (in particolare quei somari della SEC!)
La figura di Belfort è , secondo me , paradigmatica del putrido mondo dell’alta finanza (che ricordiamoci bene è quello che ha in mano le leve del potere mondiale): provoca disastri, pentimento zero, è sempre al suo posto e magari se ne vanta anche, in tal senso sembra che nella city londinese i brocker all’uscita dal cinema fossero in estasi completa…
Il grande Maestro Scorsese non poteva prescindere da questa raffigurazione che è di per se stessa una denuncia fortissima, poi non sta certo al cinema spiegare che non ci si deve strafare di oppiacei.
Come quasi sempre si fa vedere quanto è forte, è ganzo, chi frega gli altri. Sì, poi lo beccano ma qualcosa gli rimane sempre in tasca. E ci meravigliamo pe i tanti tentativi di emulazione nella vita di tutti i giorni? Naturalmente il film è bello ma come dici non fa vedere la fine, le facce e magari qualche suicidio dei truffati. Anche quella è, sfortunatamente, la realtà che deriva dalle azioni del forte e del ganzo.
Per non parlare Quaalude. Nonostante, o forse per, quel che vede qualche scemo una provatina la vorrà fare.
Mi sembra che l’Eretico abbia colto la questione (come Mereghetti). Come se in un film sulla Grande Guerra si facessero vedere solo i generali che se la spassano mentre i soldati crepano in trincea, e se il regista rendesse simpatici i generali!
Sabato sera c’era anche l’Acampa a vederlo!! Chissà quale potrebbe essere la scena che gli è garbata di più, secondo me una breve breve…
Se gli anglosassoni fanno tenere conferenze come “motivatore” al criminale Belfort, perche’ noi non facciamo lo stesso con Riina e Provenzano? Magari come motivatori sono anche piu’ bravi!