La domenica del villaggio: l’incredibile caso Palatucci
Più vengono analizzati i documenti, più la vicenda, personale e storica, del Commissario di Ps Giovanni Palatucci si ribalta, in una maniera che ha francamente dell’incredibile: per tabulas, emerge che, ben lungi dall’avere aiutato migliaia e migliaia di ebrei a Fiume, il funzionario, originario di Avellino, finì a Dachau perchè aveva tradito i tedeschi (lui, aderente alla Rsi), brigando con gli inglesi, cui aveva passato informazioni logistiche importantissime attinenti a Fiume.
Come si è creato il mito di Giovanni Palatucci, negli anni pluripremiato, fino all’inserimento fra i “Giusti tra le Nazioni” (1990)? Grazie all’interessamento del padre e, soprattutto, dello zio, il Vescovo Giuseppe Maria Palatucci; entrambi desiderosi, tra il 1952 ed il 1953, di nobilitare la sua figura per ovvie ragioni di prestigio familiare, oltre che per fare ottenere ai familiari una congrua pensione (come poi effettivamente avvenne).
La questione Palatucci si fa vieppiù imbarazzante, giacchè il Vaticano lo ha già reso beato (9 ottobre 2002), ed è in corso il processo di canonizzazione: oltre Tevere, adesso si dice di aspettare, cercando di guadagnare tempo quantomai prezioso (ma settori del mondo cattolico sono schieratissimi pro-Palatucci, contro ogni evidenza documentale).
Non solo non ha aiutato gli ebrei: Giovanni Palatucci risulta, dalla documentazione analizzata da storici di provata attendibilità (Michele Sarfatti, primus inter pares) uno zelantissimo esecutore antiebraico, nel suo delicatissimo ruolo di Responsabile dell’applicazione delle Leggi razziali fasciste in quel di Fiume.
Da vittima (dei nazisti) a carnefice (degli ebrei), dunque.
Una così clamorosa falsità storica, prolungatasi per una sessantina d’anni, cosa ha dietro? Questo è ciò che dobbiamo chiederci, a questo punto.
Alexander Stille, giornalista e storico, ha individuato sul New York Times, tre buone motivazioni, a tal proposito:
1) il desiderio cattolico di allontanare il focus dalle responsabilità addossate a Pio XII con la questione del silenzio sulla Shoah: un eroe, italiano e soprattutto cattolico, nipote di Vescovo, poteva evidentemente aiutare;
2) l’Italia dei primi anni Cinquanta (e non solo, purtroppo) ha sempre avuto una grande voglia, una necessità insopprimibile di autoassoluzione: una figura come quella del Palatucci (morto a Dachau a 37 anni) poteva essere assolutamente funzionale, in tal senso;
3) molto legata al punto 2, l’esigenza – tutta italiana, appunto – di pacificazione (di larghe intese ante litteram?). Palatucci era un italiano, ma anche un fascista di provatissima fede, aderente alla Repubblica sociale senza indugi: presentarlo al pubblico come un salvatore di ebrei non era forse uno straordinario biglietto da visita per avvicinare la tanto agognata (ed autoassolutoria) pacificazione nazionale, ben vista da tutti, Togliatti incluso?
Si dice comunemente che in guerra la prima vittima è la Verità: anche nel dopoguerra, purtroppo…